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Dibattito redazionale
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Mercoledì 24 Settembre 2014 12:53 |
Il dibattito redazionale che segue è partito da una diffusa e, per noi, immotivata considerazione secondo la quale avremmo di fatto assistito in questi decenni alla fine del Patriarcato.
The following debate starts from some statements that we do not agree with. According to them, during the last decades patriarchy has come to an end.
Viele lezte abhandlunge behaupten, dass das Patriarchat kaputt ist. Die folgende Debatte sich vornehmet diese Ansicht zu anfechten.
Abbiamo usato come titolo la medesima espressione adoperata da Bia Sarasini nel suo articolo del 25 luglio 2014 su Leggendaria n. 106.
Adriana:
Da più parti sento affermare che il patriarcato è "in dissoluzione", se non addirittura morto e sepolto.
Io confesso di sentire un certo disagio di fronte a queste affermazioni, perché continuo, nelle mie riflessioni, a tenere lo sguardo fisso proprio sull'intreccio sistema capitalistico (sociale) e patriarcato (simbolico) come due catene che a gradi e diversi livelli di pressione/oppressione in tutto il mondo, tengono inchiodati/e donne e uomini a vite dolorose e insopportabili. Tutte le dichiarazioni di morte del patriarcato mi fanno sentire come la combattente di una battaglia di retroguardia, come l’ultima giapponese nella foresta tropicale, che non si accorge che lo scenario in cui vive è grandemente mutato.
Io credo che questo dipenda da che cosa si intende con il termine patriarcato: se si vuol dire che si sono rotti gli universi simbolici sui quali si basava, la cosa è ovvia, almeno nella nostra cultura occidentale, da circa quarant'anni a livello di massa, mentre prima solo a livello individuale donne e uomini hanno messo in crisi quel paradigma nel corso di secoli.
Ma se si esce dalla dimensione di considerarlo un potere assoluto e impenetrabile, se non lo si vede come un monolite, ma si riflette sulle sua capacità di adeguarsi ai mutamenti sociali di superficie, sulle sue tecniche di penetrazione e conquista di cuore e menti, sui suoi modelli di organizzazione sociale, culturale, politica scientifica via via aggiornati e proposti... Se si fa attenzione ai linguaggi, sia specialistici che colloquiali e familiari, che hanno permeato, allora si vede che è vivo e vegeto nelle menti e nelle coscienze di molte e molti, qui da noi e nel resto del mondo, con il quale siamo in stretta relazione. E che è accettato e riprodotto da noi inconsapevolmente nelle nostre stesse relazioni sociali.
Più di trent'anni fa alcune donne dei Centri italiani, sulla scorta di quanto avveniva in altre zone d'Europa e d'America (anche del centro-sud) avviarono la riflessione sul sessismo linguistico e sulle sue conseguenze nella costruzione identitaria di donne e uomini, denunciando il ruolo della formazione di soggettività che una lingua androcentrica -patriarcale- ricopre nella formazione di soggettività nella comunità dei/delle parlanti, con le metafore e gli stereotipi che assorbiti fin dalla nascita vengono considerati "naturali" e non "storicamente determinati". Questo discorso, articolato in testi, seminari, convegni che prendevano in considerazione molti settori della comunicazione formale e informale, è stato irriso, e osteggiato anche da molte donne del movimento come irrilevante.
Oggi per fortuna è cambiata la mentalità, ma con questo esempio voglio attirare l'attenzione su quanta manipolazione sia in grado di esercitare il sistema patriarcale, e sul pericolo di sottovalutare la sua capacità di disseminazione nelle coscienze. In fondo la stessa cosa si può dire del sistema capitalistico, già in crisi in tutto il mondo, attaccato anche nei suoi stessi fortini, criticato da tutti, non a caso strettamente intrecciato con il sistema patriarcale, anche di esso mi guarderei bene dal dire che è in dissoluzione.
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Mercoledì 24 Settembre 2014 12:22 |
Giunti al termine di cinque anni di lavoro, nei quali abbiamo rispettato quasi del tutto il ritmo programmato di due numeri all’anno, registriamo qui l'uscita dalla redazione di OverLeft di Aldo Marchetti e Laura Cantelmo, che ringraziamo per la collaborazione. Nell’occasione ci siamo soffermati ad analizzare quanto abbiamo pubblicato ed è risultato evidente che, soprattutto negli ultimi due anni, hanno finito col prevalere nel lavoro di ricerca un paio di filoni che possono essere riassunti così: le connessioni tra patriarcato femminismo marxismo e capitalismo da un lato e il piano di ricerca letteraria che passa attraverso l’analisi critica di opere appartenenti alla narrativa italiana e straniera e soprattutto alla poesia perlopiù italiana. Nonché un’attenzione, meno sistematica, all’arte in generale, al cinema in particolare. All’interno di questi filoni continueremo ad approfondire le connessioni indicate, convinti come siamo che sia la strada che serve a dare luce al nostro passato e alle prospettive per il futuro, e a privilegiare quelle scritture poetiche e narrative che, rifuggendo le une da un lirismo di maniera o da trame scontate le altre, sappiano incontrare le problematiche per noi più brucianti del tempo nostro. |
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Martedì 11 Marzo 2014 09:14 |
Redazione
La redazione ha raccolto commenti e critiche all’articolo di Paolo Borzi sul film La grande bellezza. Perlopiù le critiche hanno messo sotto esame da una parte lo stile, considerato troppo faticoso, ampolloso e bizantino, dall’altra in merito ai contenuti la lettura dell’autore è risultata troppo ideologica.
A queste critiche lo stesso Borzi ci ha inviato una risposta che qui riportiamo.
A seguire pubblichiamo anche un intervento di Franco Romanò per la redazione e infine l’intervento di un esterno – Silvio Pacillo - che ci ha inviato una sua lettera di commento.
Paolo Borzi:
IDEOLOGISMI: quando qui si è parlato di scelte ideologiche, si intendevano le operazioni intellettuali adeguate al rango dell’opera sulla base della sua stessa auto presentazione, e non necessariamente alla tendenziosità politica delle stesse. Se il termine “commedia” è molto invalso nel cinema, e Sorrentino stesso lo usa per distanziarne il suo film, non altrettanto invalso è il termine “tragedia”. Eppure, persino quelli della Mondadori ancora sanno che se una cosa non è l’una (leggera, comica, semiseria o seria privata) è nella sostanza l’altra. Infatti scrivono nel loro dvd circa contenuto e personaggi: Dame dell’Alta Società; parvenu; politici; criminali d’alto bordo; giornalisti; attori; nobili decaduti; alti prelati; artisti e intellettuali veri o presunti (e con questo confutiamo chi ha notato che si voleva parlare solo degli ultimi, ma resta significativo che l’impressione sia stata quella). La Mondadori audiovisiva, nella sostanza, tiene il passo lungo che il regista auto proclama ma che nella sostanza non fa, celebrando uno scorcio di macchiette, timbrate queste sì di marchi partitici, nessuna delle quali sfiora un establishment preciso (se non gli agenti di Pittura e i nobili, guarda caso due categorie ormai autoteliche). Non sono gap colmabili infinocchiando con paroloni, bella musica e riprese panoramiche. Con ciò, se la definizione conclamata fosse stata “fantacommedia”, magari intitolata “La Terrazza di Jep”, per dirne una, parametri e giudizi sarebbero cambiati, come dovendo giudicare un passo di foxtrot in quanto tale, e non in quanto valzer inglese.
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Lunedì 03 Marzo 2014 00:00 |
Il dibattito redazionale che segue trae ispirazione da un articolo pubblicato da Nancy Fraser sul quotidiano inglese ‘The Guardian’ il 14 ottobre 2013, tradotto da Cristina Morini e pubblicato il 16 Ottobre 2013 sulla rivista on line ‘Quaderni di San Precario. Critica del diritto dell’economia della società’, a questo link
Adriana Perrotta:
Che il capitalismo si impossessi dei sogni di libertà e di emancipazione, sia di uomini che di donne, per distorcerli e piegarli ai propri interessi di sopravvivenza, è un fatto, consolidato sia dalla storia che dalla esperienza quotidiana di ciascuno/a di noi.
Ricordiamo l'insofferenza provata da molti/e di noi, negli anni ‘60, verso i nostri vecchi che lamentavano l'abbandono delle terre e il successo della fabbrica che attirava ragazze e ragazzi; obiettavamo allora che il lavoro in fabbrica, pur faticoso, permetteva margini di libertà e opportunità di socializzazione impossibili nel lavoro agricolo, e che in città, dove c’erano le fabbriche, gli/le operai/ie si affrancavano finalmente dal controllo e dalla censura esercitati dalla comunità e dalla chiesa nei confronti di comportamenti non conformi alla norma sociale, considerati pertanto trasgressivi.
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Venerdì 11 Gennaio 2013 08:27 |
In un articolo di Gabriele Lenzi, intitolato 'Desiderio maschile e patriarcato', l'autore mette a tema desiderio maschile e corpo della donna come oggetto del desiderio. L'articolo è stato letto da redattori e redattrici e quello che segue è il resoconto del dibattito sorto tra alcuni componenti.
In an article by Gabriele Lenzi, entitled 'Male desire and patriarchy', the writer fucuses on male desire and woman body as an object of desire. Such an article has been read by the members of the editorial staff. What follows is the report of the discussion risen among some of them.
In einem Artikel von Gabriele Lenzi, mit dem Titel 'Männliches Begehren und Patriarchat', stellt der Autor das männliche Begehren und den Körper der Frau als Objekt dieses Begehrens zum Thema. Der Artikel wurde von Redakteuren und Redakteurinnen gelesen und das was folgt, ist eine Zusammenfassung der Diskussion, die zwischen einigen Komponenten aufkam.
Scrive Gabriele Lenzi su zeroviolenzadonne il 31 gennaio 2012:
"Viviamo circondati da una continua proposta mediatica di modelli di desiderio maschile, in cui sono mostrati sia soggetti che desiderano sia oggetti da desiderare (un presentatore dice a una valletta di voltarsi in modo che lui e il pubblico possano vederle il sedere). Lorella Zanardo e collaboratori, a partire dal progetto Il corpo delle donne, hanno denunciato l’incessante rappresentazione mediatica italiana di un modello relazionale che prevede per la donna il ruolo di giocattolo erotico da baraccone, oggetto a un tempo di desiderio e di sopruso, e che stabilisce per l’uomo il ruolo complementare di chi ha il desiderio, e il potere, di ottenere/mantenere quella posizione della donna. Questa propaganda, con una forza educatrice negativa che nei fatti è troppo spesso sottovalutata, impone un modello di realizzazione femminile tutto appiattito su quell’immaginario, ma ha altrettanta presa sul pubblico maschile, a cui quei messaggi, tutti improntati sull’opposizione uomini-donne, si rivolgono con la forza persuasiva del dominio e del desiderio. Per il maschio eterosessuale tutto ciò riguarda, oltre alla sua ideologia e ai rapporti in genere con il femminile, l’erotismo e la sfera affettiva."
Il dibattito nato da questo articolo si è poi arricchito della discussione sopra un'immagine pubblicitaria, quella della show girl Belen Rodriguez che reclamizza una marca di intimo e anche su alcuni articoli dello stesso tenore apparsi su ‘zeviolenzadonne’ e ‘un altro genere di comunicazione’.
Franco:
Partirò da me, come il pensiero femminista invita a fare. È vero che si parla pochissimo fra uomini della propria sessualità: se penso a me, non posso che confermare e se penso ai miei amici più cari e intimi insieme a me, negli anni a partire dall'adolescenza fino a oggi, non ricordo confidenze da parte loro e neppure da parte mia, quindi penso che l'affermazione contenuta nel documento, assai interessante, sia ragionevolmente da estendere a una maggioranza del genere maschile o almeno a un buon numero. Ricordo confidenze anche intime sulle difficoltà della relazione con una donna, ricordo anche qualche richiesta di consiglio (anche da parte mia), oppure di confronto sulle relazioni che avevamo, ma raramente si arrivava a toccare il punto specifico della sessualità e del desiderio maschile e, dei rari ricordi che ho, mi rimane la sensazione di un rapido sorvolo, oppure di un discorso che era chiaramente il riflesso quasi pavloviano rispetto alle elaborazioni del movimento femminista. Mi è capitato, invece di parlarne con la mia partner e anche con amiche, con maggiore naturalezza. Tuttavia, una volta detto ciò, credo che l'intervento manchi di una prospettiva storica, nel senso che un discorso pubblico e di massa sulla sessualità e il desiderio di entrambi i generi, ha poco più di cent'anni di vita se lo si fa risalire alla psicanalisi e non più di cinquanta se lo si riferisce ai tre eventi che ne hanno determinato lo sviluppo e il corso: la nascita dei movimenti degli anni '60 (rivoluzione sessuale), i movimenti femministi e omosessuali.
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