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D. Ma da Adam Smith a Pechino si evince che a noi occidentali occorrerebbe qualcosa come una rivoluzione industriosa e dunque questa categoria non riguarda la Cina, ma potrebbe estendersi molto di più.
R. Sì. Ma la tesi fondamentale di Sugihara è che lo sviluppo tipico della rivoluzione industriale, cioè la sostituzione del lavoro con le macchine e l’energia non presenta solo limiti ecologici, come sappiamo, ma anche limiti economici. Infatti i marxisti dimenticano spesso che l’idea di Marx della composizione sempre più organica del capitale, che porta alla riduzione del profitto, deve fare i conti sostanzialmente con il fatto che incrementare l’uso delle macchine e dell’energia intensifica la concorrenza tra i capitalisti al punto da ridurre il profitto, portando per di più alla distruzione dell’ambiente.
Sugihara sostiene che la separazione tra management e lavoratori, la crescente importanza del management rispetto al lavoro e la perdita di ogni tipo di specializzazione nel lavoro, compresa quella del management, come si confà alla rivoluzione industriale, presenta dei limiti. Nella rivoluzione industriosa c’è una crescente mobilitazione di tutte le risorse interne, a cui consegue lo sviluppo o per lo meno il mantenimento dell’abilità gestionale dei lavoratori. In definitiva i vantaggi di questa abilità gestionale diventano più importanti dei vantaggi derivanti della separazione tra pianificazione e realizzazione, tipica della rivoluzione industriale. Penso che abbia ragione su di un punto, e ciò è essenziale per comprendere l’attuale ascesa della Cina, cioè che durante il processo di proletarizzazione si è conservata sostanzialmente questa abilità di autogestione pur in presenza di limiti molto seri. Ora la Cina è in grado di avere un’organizzazione dei processi lavorativi che si basa più che altrove sull’abilità di autogestione dei lavoratori. Probabilmente nella nuova situazione della Cina questa è una delle principali componenti della sua competitività sempre più accentuata.
D. Che ci potrebbe far tornare alla politica del Gruppo Gramsci per quanto riguarda i processi lavorativi e l’ autonomia?
R. Sì e no. Ci sono due diverse forme di autonomia. Ora stiamo parlando di autonomia gestionale, mentre l’altra era autonomia delle lotte, nell’antagonismo dei lavoratori verso il capitale. In quel caso l’autonomia era : come formulare il nostro programma in modo tale da unire i lavoratori nella lotta contro il capitale, piuttosto che dividere il lavoro creando le condizioni perché il capitale riaffermasse la propria autorità sui lavoratori sul luogo di lavoro? La situazione attuale è ambigua. Molti guardano all’autogestione cinese considerandola un modo per subordinare il lavoro al capitale – in altre parole il capitale risparmia sulle spese di gestione. Quest’abilità gestionale va contestualizzata – dove, quando e a quale scopo. Non è tanto facile classificarla in un modo o nell’altro.
D. Hai terminato “Le diseguaglianze di reddito a livello mondiale” nel 1991 sostenendo che, dopo il crollo dell’URSS, l’inasprimento e l’ampliamento dei conflitti nei territori poveri di risorse nel Sud del mondo – la guerra Iran-Irak o la Guerra del Golfo sono da considerarsi emblematiche – costringono l’Occidente a creare delle strutture embrionali di governo mondiale per gestirli: il G7 come comitato esecutivo della borghesia globale, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale come Ministero delle Finanze, il Consiglio di sicurezza come Ministero della Difesa . Tu ipotizzi che queste strutture nel giro di quindici anni potrebbero finire in mano a forze non conservatrici. Anzi, in Adam Smith a Pechino parli di una società divenuta mercato mondiale come speranza futura, nella quale non esiste più alcuna potenza egemone. Che relazione esiste tra le due e cosa ne pensi ?
R. In primo luogo non ho detto in realtà che sarebbero sorte delle strutture di governo mondiale in seguito ai conflitti nel Sud del mondo. Molte di loro erano organizzazioni nate a Bretton Woods, istituite dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale come meccanismi necessari ad evitare i trabocchetti dei mercati autoregolamentati dell’economia globale e come strumenti di governo. Quindi dal dopo- guerra in poi sono esistite delle strutture embrionali di governo mondiale. Negli anni ’80 si è verificato uno stato di turbolenza e di instabilità crescenti, di cui questi conflitti nel Sud erano un aspetto, perciò queste istituzioni hanno dovuto gestire l’economia mondiale in modo diverso rispetto al passato. Potrebbero finire nelle mani di forze non conservatrici? Il mio atteggiamento verso queste istituzioni è sempre stato ambivalente, poiché sotto molti aspetti esse riflettono un equilibrio di potere tra gli stati del Nord e del Sud – all’interno degli stati del Nord, tra Nord e Sud e così via. Non esisteva alcun principio che escludesse la possibilità che tali istituzioni si potessero veramente attivare per governare l’economia globale in modo tale da promuovere una più equa distribuzione del reddito su scala mondiale. Comunque è accaduto esattamente il contrario. Negli anni ’80 il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale sono divenuti gli strumenti della contro-rivoluzione neoliberista, promuovendo in tal modo una distribuzione più iniqua del reddito. Ma poi, come ho detto, alla fine è accaduto che non si è verificata tanto una distribuzione più iniqua del reddito tra Nord e Sud, ma una grande biforcazione all’interno dello stesso Sud, con l’Estremo Oriente che andava a gonfie vele e l’Africa meridionale che andava malissimo e con altre regioni qui e là che si collocavano a metà.
Che relazione ha tutto ciò con il concetto di società di mercato mondiale di cui tratto in Adam Smith a Pechino? A questo punto è chiaro che uno stato mondiale, del tipo più embrionale e confederale possibile sarebbe molto difficile da realizzare. E non è ipotizzabile in modo serio per il futuro. Ci sarà una società di mercato mondiale nel senso che gli stati si rapporteranno tra loro attraverso i meccanismi del mercato che non sono affatto autoregolamentati, ma vengono regolamentati. Questo valeva anche per il sistema sviluppato dagli Stati Uniti, che vedeva un processo estremamente regolamentato dove l’eliminazione di tariffe, di aliquote, di restrizioni sulla mobilità del lavoro veniva sempre negoziata dagli stati – in modo più rilevante da Stati Uniti ed Europa e poi tra questi e gli altri. A questo punto la questione è quale tipo di regolamentazione verrà introdotta per evitare un crollo del mercato pari a quello degli anni ’30. Quindi la relazione tra i due concetti è che l’organizzazione dell’economia mondiale si fonderà principalmente sul mercato, ma con un’importante partecipazione degli stati nella regolamentazione dell’economia
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