Introduzione di Paolo Rabissi
Proponiamo, tratto da DEP. Deportate, esuli, profughe rivista telematica di studi sulla memoria femminile, numero 38 del novembre 2018, il contributo di Augusta Molinari "Superare i confini della scrittura. Corrispondenze femminili e rapporti coniugali in alcuni epistolari contadini della Grande Guerra". Presentazione di Paolo Rabissi e nota finale di Adriana Perrotta Rabissi
Augusta Molinari, insegna storia contemporanea all’Università di Genova. Si è occupata di storia delle migrazioni storiche italiane, di storia del lavoro, di storia delle donne. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Donne e ruoli femminili nell’Italia della Grande Guerra, Selene, Milano 2008; Les migrations italiennes au début du XXe Siécle. Le voyage transocéanique antre évenèment et récit, L’Harmattan, Paris 2014; Una patria per le donne. La mobilitazione femminile nella Grande Guerra, Il Mulino, Bologna 2014. E' tra i fondatori dell’Archivio ligure della scrittura popolare.
Il saggio si propone di cogliere il ruolo che ha avuto la Grande Guerra in Italia nel ridefinire le relazioni di genere e le gerarchie patriarcali nel mondo contadino. La familiarità con la pratica della scrittura acquisita durante la guerra da parte di donne scarsamente alfabetizzate riuscì a superare la staticità dei ruoli sessuali e incrinò il dominio patriarcale.
Nulla come la guerra capovolge i ruoli sociali tra uomo e donna, nulla come la guerra svela come falsa la presunta ‘naturalità’ della divisione dei ruoli. Quella che ospitiamo qui è una corrispondenza tra coniugi contadini durante la prima guerra mondiale e occorre subito dire che la corrispondenza femminile solo da poco è stata valutata di interesse come fonte storica (anche grazie all’opera dell’autrice). Questo scambio epistolare ci offre anzitutto l’immagine di donne che in assenza dell’uomo assumono con ‘naturale’ facilità compiti e responsabilità fin lì di pertinenza dell’uomo: amministrazione dei semi, dei raccolti, delle vendite al mercato, ecc. nonché la cura di tutte le relazioni sociali legate a queste attività. Ma paradossalmente oltre ai segni di una ‘mascolinizzazione’ dei modi di fare della donna, troviamo anche quelli di una ‘femminilizzazione’ dell’uomo che, piegato dalla quotidianità della guerra e spesso dal sentimento della prossima fine, apre la sua scrittura a manifestazioni di affetto e di amore la cui mancanza effettiva gli fa rimpiangere il calore del corpo e della sessualità della moglie. Sentimento nel quale anche lei viene coinvolta con una tensione sentimentale e appassionata che trasuda dalle righe di queste lettere. La parziale messa in crisi dei ruoli patriarcali, pronti ad essere recuperati alla fine della guerra, lascerà qualche segno nel futuro. Sia nel caso dell’uomo che della donna lo sforzo di comunicare tra loro con la scrittura li ha costretti a una ricerca febbricitante di espressioni di senso che dessero corpo ai loro sentimenti d’amore verso la propria unione, verso la vita e il proprio destino umano. Per tutte le coppie prese in esame, ma anche per quelle non presenti, un percorso quasi di autocoscienza e di liberazione di pensiero critico che non potrà non lasciare segni nella loro vita futura, se ci sarà stata. Ma non sarà certo il fascismo, fedele interprete delle strutture millenarie del patriarcato e di quelle rapinose del capitalismo, a raccogliere di lì a poco questi aneliti di libertà dai ruoli.
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La fatica della scrittura
In una lettera del 4 ottobre 1916, Angela Gottero una contadina della Val Pellice, scrive al marito Luigi: “Io ti desidero gia inmezzo a noi per poterti parlare, son stuffia di scriverti che non finisca ancora questa benedetta da guerra di finire tutti di tanto soffrire, noi a casa e peggio voi su quei monti spersi”1. Il marito non riceverà la lettera, perché muore proprio in quei giorni, nell’offensiva lanciata da Cadorna nel Carso2. Angela è “stuffia” di scrivere perché nelle lettere che riceve dal marito c’è un progressivo distacco emotivo dalla famiglia e la rassegnazione a un destino di morte. Pochi giorni prima di morire, Luigi chiede alla moglie di mandargli una fotografia che la ritragga con figlio e cosi conclude la lettera: “Per me sarà l’ultima sodisfazione a vedervi e poi passiensa se mi tocca se mi tocca morire”3.
In questo caso, viene meno fa funzione terapeutica che la corrispondenza “da casa” svolge per i “fanti combattenti”. I traumi dell’esperienza di guerra vissuti da Lugi Gottero, annientano la forza dei legami (affettivi, familiari, esistenziali) che la moglie, attraverso la scrittura, ha cercato di mantenere.
L’epistolografia contadina di guerra è stata studiata, prevalentemente, per approfondire l’esperienza dei combattenti4. Sebbene queste fonti siano tra le poche disponibili per documentare aspetti di storia di genere del mondo contadino, solo raramente sono state utilizzate a partire da questa prospettiva di ricerca5. Per un approccio a queste fonti che ne valorizzi l’importanza per lo studio delle dinamiche di genere attivate dalla guerra nelle campagne italiane, sono stati presi in esame alcuni epistolari coniugali conservati nell’Archivio ligure della scrittura popolare6. Attraverso questa corrispondenza si è cercato, in particolare, di documentare come le nuove responsabilità che assumono le donne nel corso della guerra ridefiniscano i rapporti coniugali e, di conseguenza, le gerarchie patriarcali. Quasi all’improvviso, donne abituate alla sottomissione coniugale al genere maschile, si trovarono a vivere una condizione di “donne sole” che ne ridefiniva i ruoli sia nel privato che nella dimensione pubblica.
Tra gli epistolari contadini di guerra dell’Archivio ligure della scrittura popolare ne sono scelti cinque perché in questi, più che in altri, è stato possibile trovare corrispondenza femminile. Il che non succede spesso. Sebbene l’interesse della storiografia per le “scritture popolari” della Grande Guerra abbia permesso il recupero di materiali di questo tipo e ne abbia favorito la conservazione7, nella maggior parte dei casi gli epistolari contadini sono raccolte di lettere di soldati. Pur dando per scontata la dispersione a cui era soggetta la corrispondenza al “fronte”, occorre osservare che è stato determinate per la conservazione il carattere pubblico che è stato attributo a queste scritture. Sebbene fossero scritture di “illetterati” quelle dei “fanti contadini” appartenevano alla guerra. La corrispondenza delle donne contadine, invece, sono di recente è stata considerata di interesse come fonte storica. Si è ritenuto, a lungo, che donne appena alfabetizzate poco potessero capire e scrivere della guerra. Nell’Archivio ligure della scrittura popolare sono raccolti cento epistolari della Grande Guerra provenienti da tutto il territorio nazionale, 85% di famiglie contadine, per un totale di 15.000 unità di corrispondenza, quelle femminili sono circa lo 0,5% (150)8. Gli epistolari scelti sono di scriventi che hanno in comune l’appartenenza al mondo contadino, pur avendo diverse collocazioni occupazionali (tre sono famiglie di piccoli proprietari di terra, una di braccianti che alternano lavori agricoli ad altre occupazioni, in un caso si tratta di un artigiano meridionale che mantiene però anche mansioni nell’agricoltura). Si tratta di soggetti con un livello minimo di istruzione, appena alfabetizzati.
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La scelta di epistolari coniugali consente di documentare come, attraverso la corrispondenza di guerra, vennero a crearsi nuove forme di intimità che ridefinirono i rapporti tra i sessi e le gerarchie patriarcali. Il primo conflitto mondiale fa della separazione un’esperienza traumatica di massa e la estende ben oltre le parti della società che già l’avevano sperimentata in concomitanza coi flussi migratori16. Le corrispondenze coniugali del tempo di guerra, sono ben lontane dal rappresentare una normale trasmissione di affetti e sentimenti di coppia. La guerra fa apparire quotidianamente concreta la possibilità dell’estinzione del rapporto coniugale. La scrittura svolge la funzione di mantenere un’intimità a distanza che “costruisce”, anche nel mondo contadino, nuove relazioni coniugali17. Un’intimità che è una forma di resistenza alla guerra ma, al tempo stesso, e? invasa dalla guerra. Il senso di precarietà che assumono le prospettive di vita di entrambi gli scriventi fa della corrispondenza un frame in cui si collocano ridefinizioni sentimenti e un riposizionamento di gerarchie di genere (femminilizzazione della gestione degli interessi economici e nelle relazioni sociali)18.
Attraverso la scrittura, come appare dagli epistolari, il mondo contadino sembra riuscire a superare oltre che limiti di istruzione anche “barriere” culturali”19. Provati dalla guerra, gli uomini sentono il bisogno di recuperare una dimensione sentimentale e intima dei rapporti coniugali, le donne, a causa delle nuove responsabilità di cui si fanno carico, acquisiscono maggior autorevolezza nel rapporto coniugale. La corrispondenza diventa il luogo dove si intrecciano dinamiche complesse di relazioni tra mondi separati ma “vicini”. L’uno, quello maschile, determinato e definito dalla guerra, l’altro sempre in bilico tra l’urgenza di far fronte alla necessità della vita quotidiana e il bisogno di mantenere vivo il legame con i combattenti. Una sinergia tra realtà diverse che solo attraverso la scrittura è possibile mantenere. Un mezzo di comunicazione non facile da praticare per società dove predomina la comunicazione orale20 e la maggior parte delle persone è appena alfabetizzata.
Le donne contadine che hanno un livello di istruzione, in genere, inferiore agli uomini, si trovano nella necessità di superare in primo luogo i “confini” rappresentati dall’uso della scrittura. Seppur con difficoltà, ci riescono perché hanno rudimenti di alfabetizzazione pur non avendo, spesso, livelli minimi di istruzione. Troppo forte è la necessità di usare uno strumento di comunicazione che è vitale per arginare separazioni, fronteggiare il disagio, vincere lo spaesamento, esorcizzare la morte. Va inoltre rilevato che quello che appariva come un confine insuperabile, il ricorso alla scrittura da parte di persone appena alfabetizzate, in realtà era una zona di confine incerta e ricca di sfumature, come molti studi sul rapporto tra acculturazione e istruzione hanno dimostrato21. Resta, comunque, il fatto che donne semianalfabete hanno mantenuto per anni corrispondenze epistolari con familiari in guerra.
Dagli epistolari presi in esame emerge come la guerra faccia assumere a donne contadine un insieme di responsabilità, che più o meno consapevolmente, le rende più forti rispetto a tutto ciò che accade nella loro vita. Una manifestazione di questa “potenza del genere” che emerge durante la guerra è la capacità delle donne a praticare con continuità la scrittura. Una fatica, spesso dichiarata da parte delle scriventi. In tutti gli epistolari presi in esame si trovano espressioni del tipo: “ora smetto”, “altro non ho da dire”, “tu mi dici di farti più lungo le lettere io no so che dire di stare a lecro di non pensare a noi di mangiare e bere tanti baci”22. Sebbene per queste donne sia difficile scrivere, la coazione a farlo con continuità diventa una forma di acculturazione, l’acquisizione di una competenza nella comunicazione essenziale per allargare il loro “sguardo” sul mondo.
Nella nuova intimità che si crea attraverso la corrispondenza sono le donne ad avere un ruolo determinante. Attraverso le loro incerte scritture, spesso al limite del comprensibile, svolgono una funzione “impositiva” sia nel mantenere legami coniugali sia nel contrastare gli effetti devastanti della guerra sui soldati. Come è stato da più parti osservato il carattere essenziale della Grande Guerra fu una frattura di continuità, la distruzione di un cosmo e di tutte le chiavi rappresentative e simboliche che a quel cosmo si connettevano23. L’evento guerra ridefinisce spazi e tempi del mondo contadino, in primo luogo i tempi della vita e della morte, poi quelli della procreazione, dell’amore, della socialità, del lavoro. La nuova intimità che tramite la scrittura viene a stabilirsi nei rapporti coniugali è il riflesso di questi cambiamenti.
Storie intime
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Nonostante le difficoltà di chi scrive a trovare espressioni adeguate a manifestare sentimenti e stati d’animo, gli epistolari contadini di guerra assumono il carattere di una corrispondenza di tipo intimo. Il rapporto epistolare ha la funzione di esorcizzare la guerra attraverso il rafforzamento di legami sentimentali e affettivi. La guerra femminilizza i rapporti coniugali. Da parte dei soldati c’è una valorizzazione del matrimonio come legame sentimentale. Scrive Luigi Gottero alla moglie: “Non poi immaginare il piacere che godo a leggere tue notizie perche qui e lunico piacere, me fa vivere”26. Espressioni non diverse si trovano nelle lettere di Tommaso Bussi: “Mandami a dire tanto cose che a me le tue cose sono sempre quelle che mi consolano e mi fanno stare unpo tranquillo quando leggo le tue care lettere mi sembra di esserti vicino dunque scrivimi che tuoi scritti mi fano sempre felice”27.
L’ intimità che viene a crearsi attraverso la corrispondenza riflette i cambiamenti in atto nei ruoli di genere: sono le donne a svolgere i ruoli di capofamiglia. In tutti gli epistolari domina l’energia delle donne. Nelle loro lettere non solo danno conferme della stabilità e della forza del legame coniugale ma, dimostrandosi all’altezza dei nuovi ruoli che svolgono, lasciano aperte prospettive di vita futura per i combattenti. La guerra rappresentò per le donne una possibilità per “uscire” dalle mura domestiche28 e, anche se è difficile valutarne gli esiti, permise anche alle donne contadine di vivere esperienze nuove e inusuali. In contesti sociali e culturali dove l’inferiorità del genere femminile appariva come un dato naturale, basti pensare alle testimonianze di vita contadina raccolte tra la fine degli Cinquanta e i primi anni Sessanta da Nuto Revelli29, vivere da “da sole” fu per le donne un’esperienza del tutto nuova ed eccezionale. Le mogli dei “fanti contadini” vivono esperienze che cambiano la loro quotidianità di via. Difficile supporre che questa situazione non abbia inciso nei rapporti tra i sessi e nelle gerarchie di genere.
La consapevolezza delle donne di essere “forti” rispetto a uomini che la guerra ha reso deboli, crea un maggior equilibrio tra i sessi e un cedimento del potere patriarcale. Dalla corrispondenza emerge una supremazia femminile nelle relazioni coniugali. Spetta alle donne il non facile compito di dare conferme della stabilità dei ruoli sessuali in una situazione dove questi ruoli sono stati capovolti. E' la rivalutazione dell’intimitàconiugale attraverso la corrispondenza che consente di superare il capovolgimento in atto nelle gerarchie sessuali. Anche se la scarsa familiarità con scrittura limita le manifestazioni di soggettivitàindividuale, non mancano nella corrispondenza indicazioni che confermano il crearsi di una nuova intimità tra i coniugi. Nell’epistolario dei coniugi Bussi, gli incipit delle lettere attestano la necessita? degli scriventi di rassicurarsi vicendevolmente sulla stabilità e sull’intensità del loro legame sentimentale. Tommaso Bussi si rivolge alla moglie con espressioni che rivelano un forte coinvolgimento affettivo: “Cara per sempre mia moglie”, “Carissima mia cara moglie”, “Mia amata e cara moglie”. A sua volta Francesca scrive: “Mio adorato marito”, “Caro e mai così amato marito”30. Non diversamente, sebbene meno alfabetizzati, i coniugi Graffagnino riescono a manifestare la profondità del loro legame. Nelle lettere di Stefano Grafagnino la moglie è definita: “Mia amatissima sposa”, “Carissima sposa”31. Nella corrispondenza dei coniugi Genta, l’aggettivazione “cara/caro” accompagna, anche nel testo della lettera, i termini moglie e marito. In quella dei coniugi Gottero, più alfabetizzati degli altri scriventi e quindi meno bisognosi di ricorrere a modelli stereotipati di scrittura, il legame coniugale è dato per scontato: scrive Angela: “Amatissimo Luigi”, “Luigi non sai quanto mi manchi”. E Luigi: “Carissima mia Angela”, “Mia amatissima Angela”, “Tuo per sempre Luigi”.
In tutti gli epistolari si può osservare come da parte degli uomini vi sia una forte valorizzazione dell’affettività nei rapporti coniugali. Francesco Martini alla moglie: Io faccio tuto quello che posso per te come se fossi nel mio cuore e nel mio pensiero, io su di te penso giorno e notte, credimi pure io ti penso sempre, che se il buon dio mi fa la grazia di venire io cara ti farò sempre compagnia, mia amata, non ti darò mai più un dispiacere perche adesso provo tanto dolore ad essere lontano da te32.
Per Tommaso Bussi, ogni lettera che riceve dalla moglie diventa l’occasione per una conferma di interesse e di affetto: “Carissima mia amata con molto piacere oricevuto la tua cara lettera che mi è caro sentire le tue care notizie e credimi mia cara che ti penso sempre”33. Stefano Graffagnino, che è meno alfabetizzato di altri, per dare conferme dei suoi sentimenti scrive: “baci dal tuo affmo sposo che sempre di pensa”34. Per scriventi appena alfabetizzati e appartenenti a culture dove le necessità della sopravvivenza fanno prevalere i bisogni materiali sui sentimenti, l’affettività si esprime, spesso, con la fisicità dei gesti. Negli epistolari popolari di guerra, come già aveva osservato Leo Spitzer35 nel suo ruolo di censore della corrispondenza militare, ci sono milioni di baci. In ogni lettera che manda alla moglie Carlo Genta invia, insieme ai saluti manda: “baci a te, tanti baci”, “adio baci che tivoglio tanto bene”. E, in una lettera, scrive: “Saluti che ti voglio tanto bene e un bacio su tue labra”36. In tutte le corrispondenze di Stefano Grafagnino, le formule di saluto comprendono baci: “Li più forti bacci come fossimo di presenza, baci di vero cuore”37. Luigi Gottero cosi conclude una lettera alla moglie: “mille baci e un miglione di charesse”38. Pierina Maggio, cosi saluta il marito: “Ora non piu? che dirti ti abbracio e ti bacio come di presenza, baci e baci, tanti baci”39.
Spesso la passione amorosa viene evocata in modo allusivo. Scrive ad esempio Tommaso Bussi alla moglie: “Periamo che il nostro buon dio ci aiuterà a fare andare alla fine questa guerra di poterti venire di nuovo vicino e a passare di nuovo quei giorni beati come passavamo una volta e a farsi sempre buona compagnia e tante altre cose che devi capire senza che ti spiego”40. Antonio Genta si preoccupa di rassicurare la moglie della sua fedeltà coniugale: “Carisima moglie non estai achredre nesuni che io penso sempre ate e da dopo che sono venuto via da casa non o mai più visto niente, estago sempre conla speranza di venire a casa
La valorizzazione dell’intimità coniugale rende le donne contadine più attive nella condivisione della passione amorosa. Meno alfabetizzare degli uomini e più in imbarazzo a parlarne, le donne evocano la sessualità attraverso il riferimento a quello che è il luogo per eccellenza dell’intimità: il letto coniugale. Cesarina Genta, dopo aver manifestato preoccupazione perché ha saputo dal marito che dorme spesso sul terreno della trincea, scrive: “Io sono qui nel letto che stago bene e il mio marito chi sa andove e io aspeto di vederlo con me nel letto”42. Un’altra scrivente Francesca Roveda, esprime in modo non dissimile il suo bisogno di intimità: “Caro sapessi come sono impensierita nel pensare che sarai in un pagliericcio duro e io sono in un letto grande e sola”43. Sono molte le lettere dove le mogli fanno trasparire la sofferenza per il venir meno di un contatto fisico: “Caro sesapessi che dispiacere che tenco nel cuore mio a essere lontana da te. Pensa che è brutto vivere e essere lontana da Te, io ti penso giorno e notte e farei qualunque sacrificio per te e pure non posso fare nulla per poter essere di nuovo in tua compagnia”44. Scrive Angela Gottero al marito: In questo momento o il piede sulla culla per addormentare Gino e Pierino dorme son le sette di sera che ti scrivo al chiaro del lume queste son ore molto pensierose e lacrimose per te mio desiderato marito. Alla sera non ho più sonno mi metto a lavorare un po posi sono obbligata a mettermi a letto non per il sono ma per la maliconia che o nel cuore trovarmi qui sola, sena la tua buona compagnia, non credi quanto desideri baciarti a bocca a bocca45.
Anche nella descrizione che Luigia Acquarone di come passa abitualmente i giorni festivi, emerge quanto pesi la mancanza della presenza fisica del marito: “Io non lovoglia mai ascurire per tutto il giorno della festa al dopo pranzo fino alle cinque sto in casa e poi mi cambio e vado in chiesa ecco come mi passo viene le feste sono sempre a noiata che non lovoglia di andare in nessun posto”46. E' di questa scrivente, una lettera che meglio di altre attesta il nuovo attivismo femminile nella condivisione della sessualità. Finita la guerra e in attesa del ritorno a casa del marito, oltre a manifestare la sua gioia, la donna esprime il desiderio di una ripresa di rapporti sessuali e l’intenzione di avere un altro figlio: Caro sposo qui fa belle giornate non desidero altro che il bel giorno di poter andare un poco a lorto insieme, ho piantato le patate e desso ti spetto a piantare le zughe e il resto, e anche una bella ragazetta non è vero caro? sai che io desidero una ragazza, il Chinà ha seminato già sua moglie, lui desidera un maschio. Ti mando i più affettuosi saluti e baci di vero amore dalla tua amata e pazionata sempre fedele Moglie Luigia e mi ricordo la notte che mio passato con te a Torino che ti coprivo di baci47.
La corrispondenza coniugale diventa un surrogato di presenza di corpi separati e lontani, un feticcio di corporeità, mezzo unico e insostituibile per mantenere un’intimità fisica. La scrittura avviene infatti attraverso un atto così importante in amore come quello del contatto fisico e alimenta l’illusione di un passaggio di comunicazione corporea tra gli scriventi. Soprattutto in situazioni estreme, come la guerra, che fanno apparire i corpi non solo irraggiungibili ma minacciati quotidianamente nella loro integrità fisica. E' il carattere “disumanizzante” del primo conflitto moderno a far diventare la lettera un surrogato fisico di presenza. In una guerra che annulla l’individualità fisica e psichica delle persone ogni traccia di corporeità diventa un feticcio. Scrive, ad esempio, Luigina Acquarone al marito: “Caro marito con grande piacere ho abbracciato la tua cartolina”48. E, in un’altra lettera: “Caro marito se sapessi quanto soffro la tua lontananza sento proprio che di scriverti mi sembra di parlarti da vicino”49. E Francesca Roveda: “Con grande piacere ho abbracciato la tua lettera”50.
La corrispondenza coniugale ha per le donne come per i soldati, funzione di un “farmaco”. Allevia le sofferenze e lascia aperta una prospettiva di vita futura. Al marito che le chiede se si è ripresa dopo un periodo di malattia, Cesarina Giannello risponde: “Non sono le medicine che mi anno fato guarire son le tue lettere”51. Espressioni non diverse usa Francesca Roveda per definire il sollievo che ha dalla corrispondenza: “So le tue lettere che mi fano guarire non le medicine”52.
Per i combattenti il rapporto coniugale diventa più forte di altri legami familiari. Negli epistolari presi in esame si attenua nel corso della guerra l’interesse per altri familiari e anche per i figli, che, in genere, vengono ricordati solo nei saluti finali. Nelle lettere di Stefano Grafagnino, ad esempio, c’è solo un vago cenno al fatto che è in attesa di nuovo figlio: “Ora vorrei sapere se qualcosa di nuovo che c’è in paese e anche di te...capisci”53. Solo nell’ultima cartolina che manda alla famiglia, manifestando un presagio di morte, scrive: “baci Pietro e Rosina che non vedroò54.
Quanto col passare del tempo l’esperienza di guerra possa far assumere al rapporto coniugale il carattere di un legame esclusivo lo attesta con particolare efficacia l’epistolario Gottero. Scrive Luigi in una delle sue lettere dal fronte: “Adesso mi trovo in trincea o da pensar a salvarmi la pele non voglio più penzar a altre cosse penzaci tu per i bambini e tuto altro”55. E in una lettera di poco precedente, ringrazia la moglie per avergli mandato una fotografia fatta con i figli, ma è come se i figli non li avesse visti. Nulla scrive di loro, osserva invece a proposito della moglie: “Non sai che piacere ho provato a vederti in fotografia ma soltanto ti trovo un po’ dimagrita”56.
In tutti i cinque epistolari troviamo richieste dei soldati di ricevere fotografie della moglie e dei figli ed espressioni di grande commozione quando vengono ricevute. Con grande fatica, ma in modo particolarmente efficace, Carlo Genta manifesta il suo stato d’animo: “Subito cheoricevuto il paco osubito guardato dentro eapena che opreso inmanil tuo ritrato ofato baci ate e i mieicari bambini che mipareva di averli in bracio e mentre baciava te ei bambini miavenuto le lacrime alliochi di contentessa”57.
Nessuno degli scriventi è disposto a rinunciare ad avere una foto della sua famiglia, anche se si tratta di una spesa non da poco in già magri bilanci famigliari. Di questo si trova conferma in una lettera della moglie di Genta che oltre a manifestare preoccupazione per la spesa sostenuta – “Mi e toccato fare una spesa per prendere questi ritratti avevo paura di farti despiacere altrimenti non gli avrei presi” – attesta quanto fosse una necessità per i soldati avere queste fotografie. Nell’informare il marito per rimostranze che dice di aver fatto per l’eccessivo costo della fotografia, scrive: “Quel vomo midice o Cara lei sono centinaia di done che sono giavenute conli bambini afarsi prendere il ritratto”58. Seppure con diverse gradazioni di intensità, quello che però suscita maggior soddisfazione nei soldati è la possibilità di vedere con la fotografia il corpo della moglie. Scrive a questo proposito Tommaso Bussi: “Mi pareva di vederti di persona sei ancora ben presa e fai ancora una bella figura non me lo credeva che fossi così. Tutti momenti ti gardo e mi viene volia di stare adoso a te ma cosa vuoi speriamo che si vada presto alla fine di questa guerra”59. Nella corrispondenza di guerra passano un numero sterminato di feticci del corpo: fotografie, ciocche di capelli, piccoli oggetti di ornamento, immagini e medagliette religiose. A differenza però di altri feticci del corpo che sono “muti”, la lettera porta un messaggio e genera l’illusione di una possibilità di “discorso” con il corpo dell’altro. Si legge in una lettera di Luigia Acquarone:“Caro marito se sapessi quanto sofro la tua lontananza sento proprio che di scriverti misembra proprio di parlarti”60. In modo ancora più esplicito emerge il ruolo delle lettera come feticcio del corpo in quanto scrive alla moglie Luigi Gottero: “Ti prego di conservare le mie lettere le tue io le porto sempre adosso me”61.
Capovolgimenti tra i generi
Dagli epistolari si può rilevare come nel corso della guerra venga ad allentarsi, fin quasi ad estinguersi, il dominio patriarcale sulla famiglia contadina. Nel primo periodo di permanenza al fronte, la corrispondenza attesta ancora un forte controllo maschile sulla vita e le attività delle donne. La famiglia contadina è un’entità economica più che affettiva62. I soldati sono interessati a sapere come proseguono i lavori dei campi e danno direttive precise e dettagliate alle donne su come svolgerli.
A loro volta, le mogli rispondono alle richieste dando il maggior numero possibile di informazioni per il timore di essere rimproverate. Si legge in una lettera di Francesca Roveda al marito:
L’uva entro la carossa non è tanto Bella ma le altre sono Bellisimo, in quanto ai Bachi sono andati Benissimo. Na abbiamo fatto M. 10 gli abbiamo venduti a l. 85 e mezza al migliai. Quest’anno faceva piacere a vere Dei Bozzoli davendere mio papa ne fatto 21 miglia a quasi chiapato Milla lire Della sua parte63.
Nelle lettere di Angela Gottero, non c’è solo il rendiconto dei lavori agricoli, ma di ogni spesa sostenuta per il sostentamento della famiglia:
Finalmente o ricevuto i soldi delle patate ma mi rincresce fino dirti il prezzo, ma pure mi anno detto che non hanno potuto fare di più le hanno vendute 35 soldi al il Mg. Comincia adesso ad esserci miseria e tutto caro lo zucchero 1.2 al chilo la sale 14 soldi al chilo la lana 50 soldi fino a 3 lire, letto calzamenta e vestiario tutto caro che non si può più andare avanti che non finisca ancora questa bendetta guerra di poter essere un pu tranquilli tutti64.
Estenuati dalle sofferenze patite in guerra, i soldati, manifestano un progressivo distacco da quegli interessi materiali che nel mondo contadino erano una ragione primaria di vita. L’unica motivazione dell’esistenza diventa per loro l’uscire vivi dalla guerra. C’è una delega alle mogli di tutto ciò che appartiene alla vita civile: il lavoro, la gestione della famiglia e dei figli. Non appena partito Stefano Grafagnino chiede alla moglie: “Carissina sposa voglio sapere come e finita la stagione e che guadagno e restato”65. La moglie che ha particolare difficoltà con la scrittura teme di non riuscire a dare informazioni precise: “scusame, mi pari che sia como l’ano pasato, ma vedi di sapere meio, scusa, scusa”66. Il marito insiste ancora in più lettere in questa richiesta. Col passare del tempo non si trovano più nella corrispondenza di Graffigno richieste di questo tipo. Prevalgono, invece, manifestazioni di affetto per la moglie: “No vuoi saper niente di atro chedi te e como fai tu per tuto il resto va bene67.
Particolarmente significativo di questo temporaneo venir meno del controllo patriarcale sulla famiglia è l’epistolario tra i coniugi Genta. Nel primo anno di guerra le lettere che Antonio Genta scrive alla moglie sono spesso un lungo elenco di incombenze agricole e di richieste di informazioni dettagliate sulla gestione del podere. Si legge ad esempio in una delle sue prime lettere alla moglie: “Intanto tidigo di che adesso si racolie ilgrano guarada dira chorlie bene chesara molto charo- senopoi senpoi racholio da date perndi un giornaliere ataliarlo. Eintando mi mandi adire se aifatto di bossoli e quanto li ai venduto eintanto farai sapere se perndi il susidio e quanto prerndi”68. La moglie risponde cercando di rassicurare il marito che ha assecondato le sue richieste.
Caro marito di dago una notizia che ti fa molto dispiacere ti dico che non abbiamo più niente di uva ma più niente li ho fatto dare il verde rame tre volte li ho dato il solfato niente li ha fatto e tutti così perche tutti i giorni piove e ce senpre nebbia in quanto alli bozzoli li o fatto mol- ta fatiga e po ne o fatto 4 chg in quanto al sussidio prendo 36 soldi al giorno69.
Da questa corrispondenza emerge con particolare evidenza quanto fosse gravoso per donne rimaste “sole” gestire i lavori agricoli e prendersi cura dei figli:
Caro marito ti facio sapere che o cominciatoi eri a tagliare il crano e guardo di talliarmelo da me perche ci vole troppa spesa. Alla matina ci lazo di buon oro e vaso subito in campania e i bambini li seto alombra ma dovardino crida sempre facio una vita che lo mai ffatta e pure bisogna faccia così perche va molto male70.
A partire dalla primavera del 1916, comincia a venir meno, l’interesse di Antonio Genta per come vengono gestiti i lavori agricoli. Alla moglie che continua ad informarlo sull’andamento dei raccolti, risponde: “Tiprego di non sangrinarti che tanto elo stesso e pensa a me che io penso solo a te”71. La maggior parte delle lettere, sebbene sgrammaticate e confuse, contengono soprattutto espressioni di affetto per la moglie e richieste di reciproca conferma:
Carissima Cesarina scrive, scrive più che puoi. Carissima Cesarina poso dirti chepenso sempre ate e quei belisimi Giorni che opasato acasa conte. Cara Cesarina altro resta e piuniente dadirti che darte tante baci. Il due aprile mi sono isoniato che è morto il mio caro Giuseppino opasato unamalissima Giornata72.
La lettera, con il riferimento al sogno della morte del figlio, appare significativa di come la guerra faccia apparire precari tutti gli affetti e quindi acutizzi il bisogno di averli il più vicino possibile. La corrispondenza e? il solo modo per alleviare una sofferenza che può diventare tanto lacerante da far pensare alla perdita di un figlio. In una lettera del settembre 1916, poco prima della sua morte, Luigi Gottero, scrive alla moglie che gli chiede consiglio per la cessione di una parte del podere a un parente: “Per il podere vedi tu cosa puoi fare. Va bene quello che fai. Per me lo stesso che se o la fortuna di tornarea a chassa non sara quello mi fara fastidi”73.
In assenza dei mariti le donne si trovano ad assumere pesanti responsabilità e svolgere lavori spesso estenuanti. Al tempo stesso, però, acquisiscono la consapevolezza di avere delle competenze. Pur continuando a chiedere l’approvazione del marito, Cesarina Genta decide autonomamente nella gestione del podere: “E ti digo che offato zapare la vigna sopra la strada e semenare credo non mi riproverai perche semenare pocho si racolie poco”74. C’è compiacimento per essere riuscita a fare tutto “da sola” nella lettera che Francesca Roveda scrive al marito per informarlo sull’andamento della vendemmia: “Caro marito devi sapere che a Vesime ai lasciato una donna la quale sebbene lontano da te faccio tutto”75. E Angela Gottero, nel gennaio del 1916: “Caro marito questa settimana mi è venuta la convenienza di vendere il fieno resi mi credo che non abbi dipiacere perché non ti ho mandato dire niente ce n’era 110 Mg a 17 soldi o ricevuto in tutto l. 93,50”76. Dopo aver informato il marito di avergli inviato un pacco di generi alimentari, Luigia Acquarone scrive: “Caro marito qualunque cosa ti ocore fammelo sapere in bene o in male non stare a ver paura di spaventami percheme sono preparata a tutto”77.
La capacità di resistenza delle donne contadine all’inattesa mole di responsabilità e fatiche (morali, fisiche, mentali) ne fa delle persone forti loro malgrado. La necessità di gestire le vite degli altri (dei combattenti, di famiglie estese ben oltre quella coniugale) favorisce l’attenuarsi di sottomissioni sia nella sfera privata che in quella pubblica. A differenza dei mariti che per i meccanismi di disciplinamento e di annientamento dell’identità personale a cui sono sottoposti, subiscono la guerra – come si può rilevare dalla rassegnazione ad un destino di morte che compare spesso nelle loro lettere – le mogli non accettano la guerra. Un rifiuto mentale che solo raramente si concretizza in comportamenti di opposizione alla guerra78. C’è una ribellione delle donne alla guerra che va ben oltre il dolore e la rabbia per gli effetti devastanti che ha sulle persone a cui tengono. Come attesta la corrispondenza, le donne si difendono dalla guerra cercando di esorcizzarne la presenza dalla loro vita e da quella dei soldati. Lo attesta la difficoltà che hanno, tutte le scriventi, a usare il termine guerra.
Nella corrispondenza, quando si riferiscono alla guerra, le donne usano, per lo più, delle perifrasi: “Lì com’è”, “Come si sta lassu”, “lì come va”. L’invio al fronte è una generica “partenza”; Luigia Acquarone, allude alla guerra scrivendo “questa”. Come se non riuscisse a far seguire all’aggettivo il termine guerra: “Guarda di mangiare e bere di non pensare a noi che presto fenira questa che rovina le famiglie”79. Quando compare il riferimento alla guerra è quasi sempre correlato ad espressioni che auspicano il rapido arrivo della pace: “Cosa dite voialtri laggiù della fine della guerra”, “speriamo a Dio che presto finira questo tormento”, “tutti non si derira atro che arrivi questa pace”80. Solo nelle lettere di Angela Gottero entra la guerra nella sua dimensione di combattimento che genera morte, perché è il marito a scriverne. La reazione della moglie è un invito a non parlarne: “non dire quelle parole di morire che mi crepano il cuore a pensare a quelle notizie mi toccasse di averti da lasciare”81.
Per rimuovere la luttuosità dell’evento guerra, le scriventi ne riducono i danni ai disagi quotidiani dei combattenti (il freddo, i pidocchi, la cattiva alimentazione). Scrive ad esempio, Cesarina Giannello al marito:
...mentre che la legiva io penso ate non pasa unsol momento sena che pensi a te”82. L’espediente di concentrare l’attenzione su questi aspetti del vissuto di guerra per allontanare lo spettro della morte di massa, non è però sempre efficace. Come ben attesta una lettera di Luigia Acquarone che, pur facendo riferimento al fatto che il marito ha il raffreddore, lascia capire che ha ben altre le preoccupazioni: “Mi dispiace iltuo silenzio che tieni sai il mio caratere comè vhe miai scritto che sei arefreddato e vedendo il tuo si lensi il mio cervello è immachina giorno e note che misembra che tisia ha caduto qualche cosa”83.
Sebbene le scriventi facciano il possibile per esorcizzare la guerra basta un ritardo nel ricevimento della corrispondenza perché le loro vite ne siano “invase”. Non a caso compaiono in tutti gli epistolari insistenti, a volte disperate, sollecitazioni ai mariti a rispondere alle loro lettere. C’è da parte di entrambi gli scriventi una “contabilità” delle lettere inviate e ricevute che ben attesta l’ansia e il timore che suscita l’interruzione della corrispondenza84. Scrive Luigia Acquarone lamentandosi di non avere ricevuto posta dal marito:
Da domenica che tio mandato paco non o più nessuna notizia. Riguardo alla lettera che tu mi dicevi di martedì de laltra setettimana che non ti a risposto forse ti sei sei confuso perche la lettera che ai ricevuto al venerdi il giorno dieci era la risposta della tua del martedì perche devi sapere che io appena rivevo le le tue lettere mi fretto subbito a risponderti85.
Tommaso Bussi viene coinvolto nella “rotta di Caporetto”, ma più che il “disastro” un cui si è trovato sembra turbarlo l’impossibilità di comunicare con la moglie: “Cara moglie mi sei mancata tanto. Il motivo che non ti ho potuto scrivere perché c’era tutto fermo o tenuto delle lettere scritte più di dieci giorni delle lettere che non ti ho potuto impostare ma ti ho scrito tanto e sempre”86.
Pur di sottrarre alla guerra i mariti, le donne contadine si sottopongono alla fa tica e al disagio di pratiche di contatto con le istituzioni (esercito, autorità ammini- strative) del tutto estranee alle loro esperienze. In tutti gli epistolari troviamo cenni ad iniziative delle scriventi per richiedere licenze agricole, individuare una possibi- lita? di esonero per i mariti, in un caso anche il suggerimento di ricorrere a forme di autolesionismo. Una determinazione femminile che si scontra con una passività maschile motivata in parte dalla paura di misure repressive, e soprattutto, dalla rassegnazione all’impossibilità di sottrarsi alla guerra.
Nell’epistolario dei coniugi Martini, i tentativi della moglie, Luigia Acquarone, per ottenere l’esonero del marito con l’occupazione in fabbrica come operaio militarizzato occupano gran parte della corrispondenza. Le lettere documentano un attivismo frenetico della donna sia attraverso reti di relazioni con i “signori”, in questo caso una lontana cugina moglie di un colonnello, sia raccogliendo informazioni in città su alcune fabbriche militarizzate87. Già immediatamente dopo la partenza del marito Luigia Acquarone scrive:
Carissimo marito Oggi abbiamo ricevuto la tua lettera siamo rimasti un poco più sorlevati sentendo che la cugina ti dice di fare la domanda e che il tuo comandante a preso nota del tuo nome. Dunque mi ara comando di stare imganba di cercare di entrare in un lavoro che posso stare unpoco piu tranquilla88.
Quando il marito ha finito il periodo di addestramento e parte per il fronte, le sollecitazioni perché cerchi di ottenere l’esonero diventano assillanti. Luigia Acquarone ha un atteggiamento protettivo ma anche impositivo nei confronti del marito, gli dice cosa deve fare e come comportarsi: “Vai dalla cugina mi aracomando di andarci di non avere sugezione che in questi momenti qui bisogna farsi coragio. Ho e saputo da figlia di mia cugina che spera fra tre mesi sara tutto finito ma non farmi parola con qualcuno”89. Al marito che scoraggia le sue iniziative perché gli appaiono poco praticabili, Luigia risponde manifestando rabbia oltre che tristezza: “La tua lettera mi lasciato veramente trista perche mi pare che abi poca in tensione di entrare a lavorare, mio fato una tristessa tutta laser acheo ricevuto la tua lettera sempre con le lacrime ali ohchi”90.
Per ottenere il ritorno a casa, anche per brevi periodi dei mariti, le donne si “muovono” da casa, si confrontano/scontrano con la burocrazia militare. Nell’epistolario tra i coniugi Bussi, la moglie racconta al marito, in piu? occasioni, i suoi tentavi di ottenere una licenza per i lavori agricoli. Per sollecitare la concessione della licenza, Francesca si finge gravemente ammalata e riesce a farsi certificare dal medico la malattia. Tutto il suo attivismo risulta, pero?, inutile. Disperata, va a protestare al distretto militare:
Caro cio che mia fatto dispiacere sentire che non anno dato mente al mio Telegramma perché non conteneva firma del maresciallo ora ti notifico che ieri appena o ricevuto la tua lettera cara sono andata subito a Bubbio per fare la firma. Ma il maresciallo mi a deto che per quelle cose li non puo fare nessuna firma91.
Angela Gottero, dopo aver ha saputo della morte di un compaesano al fronte per un atto di autolesionismo, invita il marito a riflettere sulla possibilità di praticare, seppure con maggior cautela, un analogo comportamento: “Ti dico che Marianna del Priorà e stata vedova dicono che a preso qualche cosa per lelarsi di fare il soldà, e stato la sua morte. Mica pero pole sempre andare così male. Se uno si fa poco male pole andare in ospidale e stare unpo lontano dalli spari”92.
Il superamento dei “confini” della scrittura consentì a donne appena alfabetizzate di mantenere legami risorsa per sopravvivere alla guerra. Come da più parti è stato osservato93, la diffusione della pratica della scrittura fu un potente agente di acculturazione del mondo contadino. E lo fu particolarmente per le donne. Erano meno alfabetizzate degli uomini e non subivano, come i soldati, una condizione di annientamento dell’identità personale che faceva del ricorso alla scrittura un espediente per la sopravvivenza. Sebbene la pratica della scrittura avvenga attraverso forme stereotipate della “lettera di saluto”94 e espressioni tratte dall’oralità, le donne contadine prendono familiarità con la scrittura e migliorano la loro capacità di lettura. Acquisiscono competenze che erano in precedenza estranee alla loro vita. Basta osservare, negli epistolari presi in esame, come, nel corso della guerra aumenti la loro capacità di comunicare con efficacia sentimenti e stati d’animo. Una corrispondenza che riesce ad essere coinvolgente anche per chi oggi la legge.
Augusta Molinari, insegna storia contemporanea all’Università di Genova. Si è occupata di storia delle migrazioni storiche italiane, di storia del lavoro, di storia delle donne. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Donne e ruoli femminili nell’Italia della Grande Guerra, Selene, Milano 2008; Les migrations italiennes au début du XXe Siécle. Le voyage transocéanique antre évenèment et récit, L’Harmattan, Paris 2014; Una patria per le donne. La mobilitazione femminile nella Grande Guerra, Il Mulino, Bologna 2014. E' tra i fondatori dell’Archivio ligure della scrittura popolare.
note
1 Lettera di Angela Gottero al marito Luigi, 4 agosto 1916. Archivio Ligure della scrittura popolare (d’ora in poi ASLP) Fondo Gottero, in attesa di classificazione.
2 Marco Mondini, Il capo. La Grande Guerra di Luigi Cadorna, Il Mulino, Bologna 2017. 3 Lettera di Luigi Gottero alla moglie Angela, 18 settembre 1916.
3 Lettera di Luigi Gottero alla moglie Angela, 18 settembre 1916.
4 Per l’Italia: Antonio Gibelli, Officina della guerra: la Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Bollati Boringhieri, Torino 1991; Id., Da contadini a Italiani? Grande Guerra e identita? na- zionale, in “Ricerche storiche”, XXVII, 3, 1997, pp. 617-634; Id., La Guerra Grande: storie di gente comune 1914-1919, Laterza, Roma-Bari 2014; Fabio Caffarena, Lettere dalla Grande Guerra: scrit- ture del quotidiano, monumenti della memoria, fonti per la storia: il caso italiano, Unicopli, Milano 2005; Id., Scritture non comuni: una fonte per la storia contemporanea, Unicopli, Milano 2016; Quinto Antonelli, Storia intima della Grande Guerra: lettere, diari, memorie dei soldati dal fronte, Donzelli, Roma 2014; Id., Cento anni di Grande Guerra. Cerimonie, monumenti, memorie e contro memorie, Donzelli, Roma 2018. Tra i contributi di maggior rilievo della storiografia internazionale: Re?my Cazals, Les Carnets de guerre de Louis Barthas, tonnellier, 1914-1918, Maspero, Paris 1978; Id. (sous la d.), 500 Témoins de la de la Grande Guerre, MidiPyrénèennes, Tolouse 2013; John Hor- ne, Entre expérience et memoire: les soldat franc?ais de la Grande Guerre, in “Annales. Histoire, Sciences Sociale”, LX, 5, 2005, pp. 903-919.
5 Fanno eccezione alcune ricerche e pubblicazioni promosse dall’Archivio della scrittura popolare di Trento e dal Museo storico della guerra di Rovereto, in particolare la collana editoriale “Scritture di guerra” che presenta scritture autobiografiche femminili. Per un quadro dell’attivita? di recupero e pubblicazioni di scritture popolari femminili in area trentina: Luciana Palla, La memoria delle profughe trentine nella prima guerra mondiale, in “DEP”, 1, 2004, pp. 45-52; Quinto Antonelli Storia in- tima della Grande Guerra, cit. Si segnalano anche: Rosalba Dondeynaz, Selma e Guerrino. Un epi- stolario amoroso (1914-1920), Marietti, Genova 1992; Augusta Molinari, La buona signora e i poveri soldati. Lettere a una madrina di Guerra, Paravia, Torino 1998; Eadem, Storie di donne e ruoli sessuali nell’epistolografia popolare della Grande Guerra, in Dolce dono graditissimo. La lettera priva- ta tra Ottocento e Novecento, a cura di Maria Luisa Betrri-Daniela Maldini Chiarito, FrancoAngeli, Milano 2000, pp. 210-225. Per i piu? recenti studi internazionali dove le “scritture popolari” sono state utilizzate per studi di storia di genere nella Grande Guerra: In guerra con le parole. Il primo conflitto mondiale dalle testimonianze scritte alla memoria multimediale, a cura di Fabio Caffarena-Nancy Murzilli, Fondazione Museo storico del trentino, Trento 2018.
6 L’Archivio ligure della scrittura popolare è nato alla fine degli anni Ottanta per iniziativa di docenti e ricercatori dell’Università di Genova e ha sede nel Dipartimento di Scienze della Formazione di questa università. Per i materiali contenuti nell’archivio e per le attività di ricerca e di pubblicazione si rimanda al sito http://www.dafist.unige.it/. Per una storia dell’Archivio: Fabio Caffarena, Scritture non comuni: una fonte per la storia contemporanea, cit.
7 Per una panoramica dei centri di raccolta e di conservazione di “scritture popolari” in Europa: In guerra con le parole, cit.
8 Fabio Caffarena-Graziano Mamone, L’archivio ligure della scrittura popolare, in “Storia e futuro”, II, 33, 2013, pp. 7-28.
9 Per le informazioni che è stato possibile reperire degli scriventi si rimanda alle schede biografiche che sono state compilate all’atto della conservazione e sono reperibili nei singoli fondi archivistici dell’ Alsp.
10 Sebbene si tratti di uno degli epistolari più interessanti conservati nell’Alsp si dispone di scarse informazioni sugli scriventi perché si è trattato di un reperimento di fonti di tipo occasionale. Il fondo è in attesa di classificazione. Non si conosce il cognome da nubile di Angela Gottero e pertanto nella citazione delle lettere viene citata solo con il nome proprio. 11 Fondo Genta, Alsp, b. 6.
12 Fondo Bussi, Alsp, b. 41.
13 Fondo Martini, Alsp, b. 163.
14 Fondo Graffagnino, Alsp, b. 16.
15 Giovan Battista Miramonti, Martiri e valorosi della provincia di Trapani: Salaparuta, Tipografia degli Artigianelli, Trento 1926.
16 Per il trauma della separazione nelle migrazioni storiche europee: Delia Castelnuovo Frigessi- Michele Risso, A mezza parete: emigrazione, nostalgia, malattia mentale, Einaudi, Torino 1982.
17 John Horne, Entre expérience et memoire: les soldat franc?ais de la Grande Guerre, cit. p. 912. 86
18 Su questi temi e? la storiografia straniera che ha dato il maggior contributo. Tra questi: Susan R. Grayzel, Women’s Identities at War. Gender, Motherhood, and Politics in Britain and France during the First World War, The University of North Carolina Press, Chapel Hill and London 1999; Eadem, Women and the First World, Routledge, London-New York 2002; The Womens’ Movement in war- time; international perspectives, 1914-1919, edited by Allison S. Fell and Ingrid Sharp, Palgrave Macmillan, New York 2007; Aftermaths of War, Women’s Movements and Female Activists, edited by Ingrid Sharp and Matthew Stibbe, Brill, Leiden-Boston 2011; Living War, Thinking Peace (1914- 1924): Women’ s Experiences, Feminist Thought, and International Relations, edited by Bruna Bian- chi and Geraldine Ludbrook, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle 2016.
19 Antonio Gibelli, La grande guerra degli italiani 1915-1918, Sansoni, Milano 1998.
20 Sul rapporto tra oralità e scrittura nel mondo contadino italiano del primo Novecento: Emilio Fran- zina, L’epistolografia contadina e i suoi usi, in “Materiali di Lavoro”, II, 1-2, 1987, pp. 21-76; Attilio Bartoli Langeli, La scrittura dell’italiano, Il Mulino, Bologna 2000.
21 Walter Ong, Oralità e scrittura: le tecnologie della Parola, trad. it. di Alessandra Calanchi, il Mu- lino, Bologna 1986; Per iscritto. Antropologia delle scritture quotidiane, a cura di Daniel Fabre, Ar- go, Lecce 1997.
22 Cartolina postale di Luigia Acquarone a Francesco Martini, 27 dicembre 1915.
23 Paul Fussell, La grande guerra e la memoria moderna, trad. it. di Giuseppina Panzieri, Il Mulino, Bologna 1984; Eric J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, trad. it. di Rinaldo Falcioni, Il Mulino, Bologna 1985; Antonio Gibelli, L’officina della guerra, cit.
24 Ste?phane Audoin Rouzeau-Annette Becker, La violenza, la crociata, il lutto: la grande guerra e la storia del Novecento, trad. it. di Silvia Vacca, Einaudi, Torino 2002.
25 Lettera di Cesarina Giannello a Carlo Genta, 10 gennaio 1916. 26 Lettera Luigi Gottero alla moglie Angela, 14 dicembre 1915.
26 Lettera Luigi Gottero alla moglie Angela, 14 dicembre 1915.
27 Lettera di Tommaso Bussi a Francsca Roveda, 16 novembre 1917.
28 Francois The?baud, Les femmes au temps de la guerre de 14, Ed. Payot & Rivages, Paris 2013.
29 Nuto Revelli, Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita contadina, Vol.II, Einaudi, Torino 1977; L’anello forte. La donna: storie di vita contadina, Einaudi, Torino 1985.
30 Fondo Bussi, Alsp, b. 41.
31 Fondo Graffagnino, Alsp, b.16.
32 Lettera di Francesco Martini a Luigia Acquarone, 3 gennaio 1916.
33 Lettera di Tommaso Bussi a Francesca Roveda, 11 agosto 1916.
34 Cartolina postale di Stefano Graffagnino a Pietrina Maggio, 25 agosto 1915.
35 Antonio Gibelli, Tracce di scrittura: classi popolari e storia della Grande Guerra, in Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918, Il Saggiatore, Milano 2016.
36 Lettera Carlo Genta a Cesarina Giannello, 15 ottobre 1915.
37 Fondo Graffagnino, Alsp, b. 16.
38 Cartolina postale di Luigi Gottero alla moglie Angela, 18 novembre 1915. 39 Lettera di Pietrina Maggio a Stefano Graffagnino, 22 settembre 1916.
40 Lettera di Tommaso Bussi a Francesca Roveda, 14 aprile1917.
41 Lettera di Carlo Genta a Cesarina Giannello, 5 aprile 1916.
42 Lettera di Cesarina Giannello a Carlo Genta, Torre Bormida, 24 ottobre 1915.
43 Lettera di Francesca Roveda a Tommaso Bussi, Vesime, 12 settembre 1917.
44 Cartolina postale di Luigia Acquarone a Francesco Martini, 4 febbraio 1917.
45 Lettera di Angela Gottero al marito Luigi, 17 gennaio 1916.
46 Lettera di Luigia Acquarone a Francesco Martini, 3 gennaio 1916.
47 Lettera di Luigia Acquarone a Francsco Martini, 22 marzo 1919.
48 Lettera di Luigia Acquarone a Francesco Martini, 29 dicembre 1915.
49 Lettera di Luigia Acquarone e Francesco Martini, 15 gennaio 1916.
50 Lettera di Franscesca Roveda a Tommaso Bussi, Vesime, 26 marzo 1917.
51 Cartolina postale di Cesarina Giannello a Caro Genta, 30 dicembre 1915.
52 Lettera di Francesca Roveda a Tommaso Bussi, Vesime, 11 dicembre1916.
53 Cartolina postale di Stefano Graffagnino a Pietrina Maggio, 20 novembre 1915. 54 Lettera di Stefano Graffagino a Pierina Maggio, 3 febbraio 1916.
55 Lettera di Luigi Gottero alla moglie Angela, 30 settembre 1916.
56 Lettera di Luigi Gottero alla moglie Angela, 26 settembre 1916.
57 Lettera di Carlo Genta a Cesarina Giannello, 15 ottobre 1915.
58 Lettera di Cesarina Giannello a Carlo Genta, 30 settembre 1915.
59 Lettera di Francesco Bussi a Francesca Roveda, 4 febbraio1917.
60 Lettera di Luigia Acquarone a Francesco Martini, 2 dicembre 1915. 61 Lettera di Luigi Gottero alla moglie Angela, 28 gennaio 1916.
62 Marzio Bargagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Il Mulino, Bologna 1984; Maurizio Barbagli-David I. Kertzer, Storia della famiglia italiana 1750-1950, Il Mulino, Bologna 1992.
63 Francesca Roveda a Tommaso Bussi, 7 gennaio 1917.
64 Angela Gottero al marito Luigi, 8 settembre 1916.
65 Stefano Graffagnino a Pietrina Maggio, 6 novembre 1915. 66 Pietrina Maggio a Stefano Graffagnino, 20 dicembre 1915. 67 Stefano Graffagnino a Pietrina Maggio, 20 giugno 1916.
68 Carlo Genta a Cesarina Giannello, 5 luglio 1915.
69 Cesarina Giannello a Carlo Genta, 22 agosto 1915.
70 Ivi.
71 Carlo Genta a Cesarina Giannello, 5 aprile 1916.
72 Carlo Genta a Cesarina Giannello, 9 giugno 1916.
73 Lettera di Luigi Gottero alla moglie Angela, 11 dicembre 1915. 74 Cesarina Giannello a Carlo Genta, 10 luglio 1916.
75 Francesca Roveda a Tommaso Bussi, 12 settembre 1918. 95
76 Angela Gottero al marito Luigi, 2 febbraio 1916.
77 Lettera di Luigia Acquarone a Francesco Martini, 2 febbraio 1916.
78 Giovanna Procacci, Dalla rassegnazione alla rivolta. Mentalita? e comportamenti popolari durante la Grande Guerra, Bulzoni, Roma 1999.
79 Lettera di Luigia Acquarone a Francesco Martini, 12 dicembre 1915.
80 Lettera di Cesarina Giannello a Carlo Genta, 8 settembre 1917; Lettera di Francesca Roveda a Tommaso Bussi, 9 aprile 1916; Lettera di Angela Gottero al marito Luigi, 9 luglio 1916.
81 Lettera di Angela Gottero al marito Luigi, 24 settembre 1916. 96
82 Cartolina postale di Cesarina Giannello a Carlo Genta, 8 ottobre 1916. 83 Luigia Acquarone a Stefano Martini, 30 novembre 1915.
84 Su quella che e? stata definita come la “fame” di notizie dei soldati: Quinto Antonelli, Storia intima della Grande Guerra, cit.
85 Luigia Acquarone a Francsco Martini, 17 dicembre 1915. 86 Lettera di Tommaso Bussi alla moglie, 24 novembre1917.
88 Lettera di Luigia Acquarone e Francesco Martini, 3 dicembre 1915. 89 Lettera di Luigi Acquarone a Francesco Martini, 6 gennaio 1916.
90 Lettera di Luigi Acquarone a Francesco Martini, 30 giugno 1916. 91 Francesca Roveda a Tommaso Bussi, 23 giugno 1918.
92 Angela Gottero al marito Luigi, 13 maggio 1916. 98
93 Antonio Gibelli, L’officina della guerra, cit.
94 Emilio Franzina, L’epistolografia contadina e i suoi usi, cit.
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commento redazionale
Adriana Perrotta Rabissi
La ricerca mette in luce come l’emergenza guerra sconvolga abitudini di vita e modi di sentire all’interno delle relazioni familiari, rendendo le donne consapevoli delle proprie capacità di gestione di attività verso le quali fino ad ora si erano considerate, o erano state ritenute, inadeguate, costringendo gli uomini, nel momento della sofferenza e della paura, a abbandonarsi a espressioni di intimità e tenerezza forse fino ad allora evitate, perché vissute come improprie per una mascolinità socialmente accettata, e liquidate come romanticherie da donne.
Questo documento assume particolare valore proprio perché esprime il punto di vista di persone poco attrezzate culturalmente e quindi indenni da condizionamenti retorico-ideologici. Nelle loro parole si ascolta la nuda vita alle prese con la tragedia che ha fatto irruzione nella quotidianità.
I ruoli sociali risentono dell’inevitabile rimescolamento, si allenta il controllo degli uomini sulle attività esterne alla famiglia, emerge una certa autonomia decisionale delle donne, chiamate a compiti inusuali, soprattutto nel lungo periodo. Risaltano però nella loro dimensione più lineare le funzioni assegnate dall’ordine patriarcale, quella di accudimento e cura delle donne, che resta inalterata, accanto a nuove responsabilità e compiti che gravano sulle loro spalle, e di attività all’esterno, in questo caso di combattimento, degli uomini.
Queste dimensioni appaiono interiorizzate come naturali, così come l’accettazione della guerra vissuta come destino ineluttabile, come una calamità incontrollabile, alla quale si spera soltanto di sopravvivere.
Il patriarcato infatti non è rigido e immutabile nel tempo e nello spazio, ammette modificazioni in ragione delle trasformazioni sociali, purché resti inalterata la divisione originaria.
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