Destrutturare per ricostruire, un’azione irriverente e libera Stampa
Rubriche - Letture e spigolature
Giovedì 07 Maggio 2015 07:40

di Adriana Perrotta Rabissi

Una ricerca che dà visibilità, sulla base della documentazione raccolta e delle interviste alle protagoniste, ai nuovi gruppi e alle iniziative femministe sorte dal 2000 al 2013, che non hanno avuto risonanza mediatica a causa della loro natura di opposizione radicale alle norme sociali nei settori della sessualità, dell'ambientalismo, dell'econonmia, della cura delle relazioni con gli/le altr* e con il mondo

Ha compiuto un anno il libro di Barbara Bonomi Romagnoli Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio, Roma, Editori riuniti, marzo 2014, e deve avere avuto una buona circolazione, a giudicare dal numero di volte che si trova citato in rete e sui social media. Offre infatti  diversi percorsi di lettura, che siano motivati dall’esigenza di conoscere quanto si sta muovendo nel variegato campo del femminismo in Italia, a più di quarant’anni dalla nascita.

Il femminismo, intorno al quale si consumano dibattiti spesso pretestuosi che ne affermano la morte e/o l’inabissamento carsico, è abbastanza conosciuto nelle varianti che approdano ai mezzi di comunicazione di massa, anche se non ha la stessa visibilità riservata a fenomeni più marginali e meno perturbatori dell’ordine sociale. Ma è completamente oscurato nelle parti forse più radicali e quindi meno addomesticabili.

Alle esperienze che si richiamano a questi aspetti  è dedicato il libro, esperienze che l’autrice ha conosciuto, delle quali ha raccolto pazientemente la documentazione, arricchendola con interviste alle partecipanti, i femminismi che non fanno notizia, come sono chiamati nel primo capitolo.

Ne risulta una costellazione di gruppi, alcuni già finiti, altri ancora attivi, nati a partire dal 2000, che rivelano una realtà di movimento ignorata  dalla maggior parte delle persone, tranne che dalle donne e dagli uomini che la intercettano - o l’hanno intercettata - nel proprio cammino politico-intellettuale.

La ricerca anima in qualche modo il contesto di conflitto e di lotta al sistema politico e sociale,  che per altri versi appare abbastanza desolato in questo inizio di secolo.

Un primo percorso di lettura è quello della documentazione, attività propria del femminismo degli anni Ottanta, quando, all’esaurirsi del primo ciclo di lotte degli anni Settanta, sono sorti gli Archivi, le Biblioteche, i Centri  e le Case delle donne per preservare dalla distruzione il patrimonio di riflessioni, analisi, teorizzazioni e consapevolezze maturate all’interno del movimento.

 

A questo livello di fruibilità, reso ancora più ampio dalle segnalazioni di Romagnoli di link raggiungibili in rete, per approfondire la ricerca documentaria di testi non presenti nel libro, si aggiunge un interesse  di carattere politico, perché sono affrontati temi centrali della nostra vita individuale e collettiva, marginalizzati  dalla politica e dalla cultura ufficiali con l’espressione robe da donne, questioni che hanno a che fare con le relazioni tra donne e uomini, tra uomini e uomini, tra donne e donne, con le relazioni con l’ambiente, gli animali, le risorse del nostro pianeta, in altri termini con le ipotesi di costruzione di un nuovo paradigma di convivenza, in un momento storico quale è quello attuale, di devastazione sociale, economica, ambientale, culturale e politica, che coinvolge larghi settori di uomini e donne nelle zone del primo, secondo, terzo, quarto mondo.

Così ad esempio nel momento in cui da un lato si fanno sempre più pressanti le richieste di ripristino di luoghi dove rinchiudere le prostitute, per preoccupazioni di decoro urbano, sotto il pretesto di tutelarle, dall’altro si leva un vocio frastornante di grida e esortazioni a abolire la prostituzione, come se questo fosse possibile, per mezzo di provvedimenti amministrativi, la parola è data alle donne del gruppo Le lucciole di Pordenone, nato dal Comitato per i diritti civili delle prostitute. Vi si colgono analisi e proposte elaborate dalle prostitute per affermare il diritto all’autodeterminazione e per fare uscire il tema dalle logiche dell’emergenza, senza nascondersi la problematicità e la complessità delle questioni chiamate in campo, che complicano i rapporti con molte femministe, oltre che con le istituzioni.

L’autrice ci presenta altre diciotto realtà, attive in tutta Italia, attente a quanto si muove anche nel panorama dei femminismi non italiani,  a ciascuna  è dedicato un capitolo dal titolo ironico-provocatorio, che destruttura fin dall’inizio del racconto stereotipi e pregiudizi, che albergano nelle mentalità di donne e uomini, in relazioni a temi quali le sessualità divergenti dalla norma sociale, il rapporto native migranti, la violenza degli uomini sulle donne e le proposte per combatterla uscendo dalla dimensione vittimistica, l’ecofemminismo.

Anche se a volte sembra sia rifiutato il termine femminismo, per il timore di essere intrappolate in forme non condivise, tutte le pratiche e le attività descritte rivelano aspetti derivati dalle nuove consapevolezze espresse dal femminismo.

Leggendo il libro di Romagnoli non si può fare a meno di confrontare parole e atti delle donne intervistate o presentate negli scritti, nei programmi, nelle iniziative attivate, con le azioni e i discorsi, o meglio le non-azioni, delle ministre al governo da quattordici mesi, per la prima volta così numerose. La loro presenza non si discosta in nulla da una presenza di uomini diligenti nei confronti del loro capo, il che ci dimostra quanto grande sia la necessità di comunicare esperienze di vita e di pensiero femminista.

Ultima considerazione che mi fa pensare con piacere che il metodo del partire da sé sia davvero passato in eredità alle donne che non hanno conosciuto, per ragioni anagrafiche, il momento alto della pratica dell’autocoscienza, ho molto apprezzato la segnalazione finale dei riferimenti bibliografici, nei quali sono inclusi non solo i testi disciplinari, attinenti ai temi della ricerca condotta, ma i libri delle scrittrici, italiane e estere, alle quali Romagnoli riconosce un valore fondamentale per la sua formazione. Quasi un abbozzo di autobiografia intellettuale, che la colloca in un luogo determinato e dichiarato della catena comunicativa e letteraria delle donne.