La speranza possibile: riflessioni rapsodiche sulle Tesi di Benjamin Stampa
Lunedì 01 Novembre 2021 09:17

Di Franco Romanò

Le tesi sulla storia sono un testo estremo, scritto di getto, eppure in sintonia con una riflessione che viene da lontano: il biennio 1939-40 offrì al filosofo l’occasione propizia per renderle pubbliche. Perché riprenderle oggi? Anche noi ci troviamo in un passaggio epocale e da questa considerazione è nata l’idea di una riflessione su di esse, cercando di leggerle per così dire contropelo, cioè dal lato che sembra più improbabile per uno scritto così estremo e disperato: il lato della speranza.1

Benjamin parte da una critica radicale dello storicismo.

Dalla Tesi settima. Traduzione da L’ospite ingrato. Foustel de Coulange raccomanda, allo storico che vuole rivivere un’epoca, di togliersi dalla testa tutto ciò che sa del corso successivo della storia. Meglio non si potrebbe  designare il procedimento con il quale il materialismo storico ha rotto. È un procedimento di immedesimazione emotiva. La sua origine è l’ignavia del cuore, l’acedia, che dispera d’impadronirsi dell’immagine storica autentica, che balena fugacemente. Per i teologi del Medioevo era il fondamento della tristezza. La natura di questa tristezza diventa più chiara se ci si chiede con chi poi propriamente s’immedesimi lo storiografo dello storicismo. La risposta suona inevitabilmente: con il vincitore. … L’immedesimazione con il vincitore torna perciò sempre a vantaggio dei dominatori di turno … Chiunque abbia riportato fino ad ora vittoria partecipa al corteo trionfale in cui i dominato ridi oggi passano sopra quelli che oggi giacciono a terra. Anche il bottino, come si è sempre usato, viene trasportato nel corteo trionfale. Lo si designa come il patrimonio culturale. Esso dovrà tener conto di avere nel materialista storico un osservatore distaccato … Tutto ciò deve la sua esistenza non solo alla fatica dei grandi geni che l’hanno fatta, ma anche al servaggio senza nome dei loro contemporanei. Non è mai un documento della cultura senza essere insieme un documento alla barbarie. E come non è esente da barbarie esso stesso, così non lo è neppure il processo di trasmissione per cui è passato dall’uno all’altro. Il materialista storico quindi, ne prende le distanze da esso nella misura del possibile. Egli considera suo compito spazzolare la storia contropelo.

L’identificazione con tutti i vincitori fa propria la finzione di scorporare il cosiddetto patrimonio culturale dalle condizioni materiali e di oppressione che lo hanno reso possibile. Tale finzione si avvale dell’immedesimazione emotiva con il vincitore e dell’acedia, cioè l’ignavia del cuore.2 La sua non è soltanto una critica del modello eroico. Affermare che ogni documento di civiltà è anche un documento di barbarie, rompe qualsiasi sudditanza basata sulla continuità storica e, pur sapendo egli stesso che non è possibile raggiungere questo obiettivo in senso assoluto (Il materialista storico quindi, ne prende le distanze da esso nella misura del possibile), questa è l’unica strada che permette di creare uno spazio mentale vuoto o quasi vuoto, nel quale collocare l’ipotesi di una speranza possibile.

STORIA E PROFEZIA

Friederich Schelegel: Der Historiker is ein rückwärtsgekehter Prophet (Lo storico è un profeta rivolto all’indietro).

È possibile rintracciare nelle Tesi una luce, seppure flebile, che permetta di ricostruire una speranza concreta? Si può farlo e articolarlo intorno ad alcune domande ed alcuni exempla di Benjamin. Nella parte finale della seconda Tesi egli scrive:

… esiste un appuntamento misterioso tra le generazioni che sono state e la nostra. Allora noi siamo stati attesi sulla terra. Allora a noi, come a ogni altra generazione che fu prima di noi, è stata consegnata una debole forza messianica, a cui il passato ha diritto. Questo diritto non si può eludere a poco prezzo. Il materialista storico ne sa qualcosa.

 

Ci sono due snodi importanti in questo passaggio. Il primo: sono le generazioni passate e non quelle future che richiedono di essere riscattate e che affidano a noi e si aspettano da noi che ci adoperiamo in quel senso. La forza che ci hanno affidato con il loro esempio è debole e messianica e su questi due termini sarà necessario ragionare a lungo perché l’ossimoro è assai intrigante: come può una forza essere debole e messianica al tempo stesso? Con il primo aggettivo Benjamin prende le distanze dal modello eroico: è un tema che compare anche nel saggio del ’39 sul teatro epico. Non vi è alcuna forma di titanismo nell’idea di lotta di cui Benjamin si fa portatore. Perché messianica però? Perché la possibilità di agire ha un limite temporale per qualunque generazione, ma l’orizzonte di tale azione si colloca oltre perché non può che essere orientato a riscattare tutta la storia, come afferma la terza Tesi:

Il cronista che racconta gli avvenimenti, senza distinguere fra grandi e piccoli, tiene conto della verità che per la storia nulla di ciò che è avvenuto deve essere mai dato per perso. Certo, solo a un’umanità redenta, tocca in eredità piena il suo passato. Il che vuol dire: solo a una umanità redenta il passato è divenuto citabile in ciascuno dei suoi momenti. Ognuno dei suoi attimi vissuti diventa una citacion a l’ordre du jour – giorno che è appunto il giorno del giudizio.

Dunque l’orizzonte appartiene al messianico perché eccede la storicità. Avrebbe potuto scrivere utopico invece che messianico? In teoria sì, ma se ricostruiamo il pensiero di Benjamin, l’uso del termine appare necessario anche se estremo e complesso da accettare. Lo comprendiamo meglio considerando altre due tesi che ci traghetteranno verso una delle due finali, aggiunte all’ultimo momento.

Tesi quinta, nella traduzione di Einaudi. Nel Manuskript Arendt è la tesi n. 4.

La vera immagine del passato passa di sfuggita. Solo nell’immagine, che balena una volta per tutte  proprio nell’attimo della sua conoscibilità, si lascia fissare il passato. … Poichè è un’immagine non revocabile del passato quella che rischia di svanire con ogni presente che non si riconosca significato, indicato in esso. (La lieta novella che lo storico del passato porta senza respiro, viene da una bocca che forse, già nel momento in cui si apre, parla nel vuoto).

Il pensiero si fa strada con difficoltà e qualche oscurità che la traduzione einaudiana non aiuta a dissipare e neppure l’altra: affidiamoci dunque alla lingua originale. L’incipit va ricondotto a cosa sono per Benjamin l’exemplum e la citazione. Per vera immagine (wahre Bild) egli intende quella che ci rivela qualcosa che rompe il continuum storicista: è l’immagine che colpisce gli occhi (Augenblick) e come tale guizza via. (huscht vorbei). Vero, non va dunque assunto qui nel suo significato letterale, ma in quello di esemplare, emblematico. Tale immagine rischia di scomparire se non trova significato nel presente, cioè se non trova qualcuno che la salvi dall’oblio e ne riconosca il senso nell’oggi. Arriviamo così alla diciassette A, una tesi molto complessa: la riprendo dal quaderno 3 de L’ospite ingrato, che ne ricostruisce anche la storia.

Nell’idea della società senza classi Marx ha secolarizzato l’idea del tempo messianico; ed era giusto così.

Tale incipit ci permette di capire la necessità di usare messianico e non utopico. Il testo così prosegue:

In realtà non vi è un solo attimo che non rechi con sé la propria chance rivoluzionaria.  – essa richiede soltanto di essere intesa come una chance specifica, ossia come chance di una soluzione del tutto nuova, prescritta da un compito del tutto nuovo. Per il pensatore rivoluzionario la peculiare chance rivoluzionaria trae conferma da una data situazione politica. Ma per lui non trae minor conferma dal potere delle chiavi che un attimo possiede su una … stanza del passato, fino ad allora chiusa. L’ingresso in questa stanza coincide del tutto con l’azione politica: ed è ciò per cui essa, per quanto distruttiva possa essere, si dà come azione messianica.

La novità di questo passaggio, pur nei suoi tratti oscuri o faticosamente risolti, sta nel raccogliere un’ipotesi che altri avevano già formulato su Marx, ma dandole un senso completamente diverso.3 Il Marx di Benjamin ha effettivamente secolarizzato il tempo messianico e per questa ragione non avrebbe potuto usare un termine come utopico. Non solo, ma per il filosofo era giusto così. Mi servirò allora di un’analogia con il cristianesimo, del tutto lecita perché non bisogna dimenticare che è esistita ed esiste pure l’ipotesi di Marx messianico e cristiano! Pensando al tempo messianico, Gesù per i cristiani è colui che afferma: sono io quello che attendavate; dunque l’incarnazione della divinità e tutto ciò che ne consegue, compresi i rimandi alle scritture che avrebbero profetizzato il suo arrivo. Il Marx di Benjamin risponde in modo categorico a una diversa domanda che potremmo formulare così: Quando sarà il tempo dei profeti? Adesso, qui e ora e il contenuto concreto della realizzazione del tempo messianico era (non dimentichiamo che Benjamin ne parla al passato – era giusto così e non è giusto così)  la società senza classi cioè la fuoriuscita dalla preistoria dell’umanità. La tesi B ci permette di capire in tutte le sue sfaccettature il retroterra ebraico di questa soluzione.

Tesi B traduzione da L’ospite ingrato. Nella traduzione di Einaudi è nominata come tesi 18 A e B.

Il tempo che gli indovini interrogavano  … da loro non era certo sperimentato né come omogeneo né come vuoto. Chi tiene presente questo forse  giunge a farsi un’idea di come il tempo passato è stato sperimentato nella rammemorazione e cioè proprio così. È noto che agli ebrei era vietato investigare il futuro. La Torah e la preghiera li istruiscono invece alla rammemorazione. Cioè liberava per loro dall’incantesimo il futuro, quel futuro di cui sono succubi quando cercano il responso o di presso gi indovini. Ma non perciò il tempo diventò per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto, perché in esso ogni secondo era la piccola porta attraverso la quale poteva entrare il Messia.

CATASTROFE E STORIA

Di fronte a questi esiti della riflessione di Benjamin la critica ha storto il naso rimproverandogli in sostanza di non saper scegliere fra una visione laica della storia e una messianico-religiosa: è la stessa critica rivolta a Ernst Bloch, che Benjamin cita spesso. Il saggio di Renato Solmi dell’Angelus Novus einaudiano insiste su questo  punto: più neutri e non  così netti nel giudizio i saggi di Bonola per L’Ospite ingrato e quello di Fabrizio Desideri sul testo di Einaudi. Tale oscillazione è innegabile ed è suffragata anche dal carteggio fra Benjamin e lo studioso della mistica ebraica Gershom Scholem, ma fermarsi a ciò mi sembra una riduzione del suo pensiero che non permette di coglierne invece aspetti assai importanti oggi e che forse lo erano di meno negli anni ’80, quando l’edizione einaudiana fu pubblicata. Il secondo rimprovero che gli viene mosso è l’introduzione di una dimensione catastrofica nella sua visione della storia, che è rappresentata in modo così potente e definitivo nell’immagine dell’Angelo di Klee della Nona tesi.4 La prima considerazione a proposito dell’ultima osservazione è che il catastrofico è effettivamente entrato nelle nostre vite quotidiane e non solo grazie alla pandemia Covid 19, ma vi era già entrato con le manifestazioni più estreme del clima, con la distruzione dei sistemi sanitari, la ricorrente esplosione di epidemie (Ebola, Aviaria, Sars, Covid 19), su tempi brevi, nella insostenibilità di sistemi sociali che hanno generato rivolte in tutto il mondo. A gettare questi allarmi non erano né Cassandre improvvisate, né millenaristi d’occasione ma scienziati appartenenti dunque a quell’universo della modernità e non a quello degli indovini. Quanto alla dimensione messianica del discorso di Benjamin credo lo si possa accogliere in questo modo. La sua affermazione Nell’idea della società senza classi Marx ha secolarizzato l’idea del tempo messianico … va presa alla lettera, cioè come un riportare il tempo messianico nella storia: ma è il tempo ebraico, non quello cristiano, che è sempre un rimando a un secondo tempo, a un dopo. Affermare che ogni istante può essere la porta in cui entra il Messia, non significa attenderlo, ma soltanto che il giorno del giudizio è sempre adesso e quindi sta nella storia. Perciò può scrivere:

In realtà non vi è un solo attimo che non rechi con sé la propria chance rivoluzionaria.  – essa richiede soltanto di essere intesa come una chance specifica, ossia come chance di una soluzione del tutto nuova, prescritta da un compito del tutto nuovo. Per il pensatore rivoluzionario la peculiare chance rivoluzionaria trae conferma da una data situazione politica. Ma per lui non trae minor conferma dal potere delle chiavi che un attimo possiede su una … stanza del passato, fino ad allora chiusa. L’ingresso in questa stanza coincide del tutto con l’azione politica: ed è ciò per cui essa, per quanto distruttiva possa essere, si dà come azione messianica.

Importante dunque individuare quale sia la chance specifica del momento storico che si sta vivendo e siamo dunque del tutto nella storia. La parte più oscura di questa citazione lo diventa forse di meno se gli accostiamo quest’altra, potente e salvifica al tempo stesso:

Il dono di riattizzare nel passato la scintilla della speranza è presente solo in quello storico che è compenetrato dall’idea che neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere.

Che il nemico sia il fascismo o un altro dei vincitori di oggi non ha alcuna importanza: è l’idea che neppure i morti sono salvi se non continuiamo a salvarli noi nel nostro presente che può nutrire l’indignazione e l’azione consapevole.

 


1 Le traduzioni italiane di cui mi sono servito sono: Angelus novus, tascabili Einaudi a cura di Renato Solmi e un saggio di Fabrizio Desideri: la mia edizione è quella del 1995. La seconda è Walter Benjamin Testi e commenti, Quaderno N.3 de L’ospite ingrato, Periodico del centro studi Franco Fortini, a cura e commento di Gianfranco Bonola, Quodlibet 2013: questa edizione riporta anche le tesi finali che mancano nel testo einaudiano. Il testo in originale tedesco è quello dei Manuskript Hanna Arendt, che si trova anche in rete ed è corredato dalle fotocopie del manoscritto di Benjamin con le sue correzioni. Il titolo completo è: Walter Benjamin über den Begrieff der Geschichte.

2 Il concetto di immedesimazione emotiva è assai importante nell’economia del pensiero benjaminiano e le sue premesse più prossime alle Tesi si trovano nel saggio Che cosa è il teatro epico, scritto nel 1939. Prendendo come esempio virtuoso il teatro di Brecht, il filosofo mette in evidenza la differenza sostanziale che esiste fra immedesimazione emotiva con l’eroe, che porta alla catarsi aristotelica e l’immedesimazione con la situazione in cui l’eroe è coinvolto. Quanto all’acedia del cuore, penso che il bersaglio fosse l’etica protestante e la sua mancanza di empatia, essendo collocata del tutto nella coscienza individuale e in un rapporto diretto e personale con Dio e la Grazia.

3 L’idea di Marx come profeta materialista, ma profeta e dunque profondamente nel solco della cultura ebraica non è nuova ma era stata sempre formulata per irridere o squalificare. Per i credenti, poi, l’ipotesi di un Marx profeta materialista poteva risultare addirittura blasfema. La famiglia Marx era di origine ebraica, il nonno era un rabbino, ma il padre, non credente come poi il figlio, aveva aderito al protestantesimo luterano per poter esercitare la sua professione e cioè l’avvocatura. In sostanza il milieu ebraico di Marx veniva rispolverato per ragioni negative e addirittura per imputargli anche una punta di antisemitismo, per alcune analisi contenute nel suo scritto giovanile sulla Questione ebraica.

4 Tesi nona.

C’è un quadro di Klee che si chiama Angelus novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove, davanti a noi, appare una catena di avvenimento, egli vede un’unica catastrofe che ammassa incessantemente macerie su macerie  e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destre i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue lai, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo di macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo progresso è questa bufera.