La fertilità del disagio. Essere maschi tra potere e libertà. Stampa
Aree tematiche - L'altra globalizzazione
Mercoledì 26 Gennaio 2011 00:00

di Paolo Rabissi

Assumo per questo mio breve intervento come titolo quello stesso del libro di Stefano Ciccone (Essere maschi tra potere e libertà, Rosenberg e Sellier, 2009) perché il desiderio di affrontare le questioni, qui di seguito succintamente esposte, trova in questo lavoro la migliore trattazione per chi, come il sottoscritto, ha attraversato a titolo diverso le culture del Novecento, analisi e 'pratiche' dei femminismi comprese. Questo lavoro dunque vuole sostanzialmente proporre all'attenzione alcuni degli interrogativi che il lavoro ormai decennale dell'autore del libro ci pone.

Stefano Ciccone (Roma, 7 Febbraio, 1964) coordina il Parco Scientifico dell’Università di Roma Tor Vergata ed è fondatore dell’associazione e rete nazionale Maschile Plurale, che riunisce gruppi di uomini interessati a pensare sulla propria identità e sui modelli maschili. E’ stato promotore della manifestazione nazionale di uomini contro la violenza alle donne tenutasi a Roma il 21 novembre 2009 a piazza Farnese a Roma.
Oltre a diversi articoli sulle tematiche dell’innovazione e delle relazioni tra i generi, è autore di “Essere Maschi. Tra potere e libertà”, in cui analizza le trasformazioni in corso nel maschile e riflette su temi finora considerati femminili come violenza sessuale, genere, relazioni coi figli, lavoro di cura, prostituzione ed esperienza del corpo.
E’ stato responsabile romano giovani del PdUP fino al 1984, membro del direttivo regionale della Federazione Lavoratori della conoscenza CGIL Lazio, membro della segreteria romana della FGCI dal 1985 al 1990, membro del Comitato Federale del Pci dal 1986 al 1990, membro della segreteria Romana di Rifondazione fino al 1991, coordinatore romano del movimento dei Comunisti Unitari. Membro della segreteria nazionale dell’Associazione per la Pace dal 1984 al 1988.
Principali pubblicazioni e interventi:
• Ciccone S., Essere Maschi. Tra potere e libertà, Rosenberg & Seller, 2009
• Ciccone S., Caso G., Romascienza. Innovazione, qualità e sviluppo per Roma, Franco Angeli, 2004
• Articoli e interventi su ITER, Roma ricerca e formazione, Galileo, Nuova ecologia, Sapere, Pedagogika, Noi Donne, L’unità, Il Manifesto, Radio Città Futura, Avvenimenti, Alfa Zeta, Democrazia e Diritto, Cominform, Gli Altri.
• Curatore e autore della mostra “Geneticamente” sulle biotecnologie.
• Curatore della manifestazione “Romascienza” sul rapporto tra mondo della ricerca e territorio (2003, 2004, 2006).

Per gli uomini, i maschi, uno sguardo sul mondo e su se stessi che tenga conto del fatto che gli esseri umani sono sessuati appare ancora superfluo per i più. La materialità dei corpi viene elusa dentro l'apparente naturalità delle relazioni, dei ruoli sessuali e delle loro rappresentazioni: la politica, la scienza, i saperi in generale sono vissuti e praticati dentro una presunta neutralità di regole e comportamenti. A femminismo diffuso oggi diciamo che la morale, la scienza, la politica, la cultura sono intrise della parola maschile che assegna agli uomini l'apparente diritto di parlare per tutti. 

Lo schiavo barbuto, Michelangelo, 1525-1530, Galleria dell'Accademia, FirenzeMa parlare del maschile comporta soprattutto parlare dell'ordine patriarcale. Regole e comportamenti nati dalla parola maschile hanno creato il sistema normativo del patriarcato finendo con l'ingessare il maschio dentro il ruolo astratto e neutro di 'esperto' a causa del quale appunto parla per tutti senza dire niente di sé e della propria parzialità. In questo senso le reali potenzialità del maschile hanno finito col costituire un territorio sconosciuto ai più perché l'esperienza maschile è rimasta incapsulata dentro quelle norme, dimodoché voler oggi prendere le distanze da esse significa addentrarsi nel deserto.

Dice Ciccone: “Come uomini siamo stati abituati ad agire pensandoci investiti di una responsabilità e di un'autorevolezza generale. Una propensione che non intendo disconoscere perché mi ha insegnato a interrogarmi sul mondo finendo proprio a interrogare le radici del mondo stesso.”

Alle radici del mondo dunque stanno soggetti sessuati. E oggi l'indagine critica che parta dalla sessuazione dei soggetti rimanda al femminismo, agli 'studi di genere', allo sviluppo dei women's studies negli altri paesi. In Italia, avverte Ciccone, la ricerca attorno al maschile si è sviluppata con grande ritardo, solo negli ultimi anni si è sviluppata una rete maschile di riflessione critica sui modelli dominanti di mascolinità, ma mettere a tema i modelli identitari del maschile suscita ancora sorpresa e anche sospetto. Sospetto che 'prendere la parola come uomini' sia o frutto di un revanscismo verso il protagonismo attuale delle donne oppure una strategia di adattamento di fronte all'incalzare dello sguardo critico femminile. Affrontare questa questione non ha ancoraggi certi né in una tradizione di pensiero, né in una competenza disciplinare, né in una collocazione politica: per questo incontra difficoltà notevoli ed espone l'interessato o allo stereotipo dell'uomo sensibile o a quello del difensore dei diritti delle donne. Il che apre già a un corpo ineludibile di domande. Quali sono genericamente parlando le reazioni maschili alla nuova libertà femminile nel mondo, alla crescente presenza delle donne nel mondo del lavoro, della cultura, della politica con la corrispondente crisi della centralità dei ruoli maschili? Schematizzando, le reazioni vanno dalla rimozione alla depressione, dal revanscismo ai comportamenti 'politicamente corretti', all'accettazione di un riequilibrio dei poteri mediante il diritto (le pari opportunità).

E' proprio questo tipo di risposte ad essere oggetto dello sguardo critico del libro 'Essere maschi...' che in sostanza è anche la sintesi dell'esperienza ormai pluridecennale di Ciccone ( biologo e coordinatore del Parco scientifico e Tecnologico della Università di Roma Tor Vergata) di indagine 'nel maschile' attuata in esperienze collettive, in una rete informale di piccoli gruppi con storie e pratiche diverse che sono sfociate a livello nazionale nell'associazione Maschile Plurale di cui è presidente. L'indagine critica dello sguardo maschile sul mondo non è una risposta simmetrica al femminismo, ma del femminismo quello sguardo è sostanzialmente debitore, lo è perché, una volta accettato di porsi da un punto di vista parziale, di guardare cioè all'esperienza di uomo senza la presunzione di dover 'spiegare come funziona il mondo', una volta assunto come punto d'indagine la condizione sessuata e le sue conseguenze, l'indagine si trova ad aver a che fare, esattamente all'opposto di quanto accade alla donna, con una parzialità che si è fatta norma, addirittura misura dell'umano rispetto a cui il femminile è una declinazione per difetto.

Parlare del maschile significa parlare dell'ordine che gli uomini hanno generato, di quel sistema di poteri, norme e rappresentazioni di sé e del mondo chiamato patriarcato. Chi in quei modelli normativi e forme di relazioni non trova più senso ha davanti a sé un percorso di libertà nuove, e verosimilmente di nuove forme di relazioni impraticabili dentro quel patriarcale senso di responsabilità di essere 'investito della mansione di interpretare le ragioni dell'umanità'.

Naked boys, Tim Schultheis

Costruire una soggettività maschile significa anzitutto rompere una complicità, attivare un distanziamento dalla storia e dai comportamenti del genere maschile ma ciò che maggiormente importa deve poter significare sciogliere nodi decisivi per una pratica di trasformazione della società. In questo senso, afferma Ciccone, si tratta di aprire una riflessione ma anche un conflitto che mettano al centro i modi della costruzione dell'identità maschile e che producano pratiche capaci di cambiare comportamenti e modi di pensare se stessi e il mondo. Partendo dall'idea, di non facile accettazione e poco attraente per qualunque maschio, che esiste un universo simbolico, un repertorio di stereotipi che è condiviso tra chi, ad esempio, commette una violenza su una donna e chi ad essa è fattualmente estraneo.

Fare propria questa lente di lettura del mondo è verosimilmente una responsabilità ineludibile ma anche euristicamente vantaggiosa.

Commenti redazionali.

Da Aldo:

Carissimo Paolo

Grande problema quello che muovi. Penso in primo luogo al ruolo del maschio come detentore del monopolio della violenza. La guerra la hanno fatta sempre i maschi giovani. Pensa ai nostri giochi di bambini. Noi giocavamo alla guerra (soldatini e battaglie a sassi) mentre le bambine giocavano con le bambole (cioè a fare le mamme). In buona sostanza il destino a noi assegnato era quello di distruggere quello che le donne avrebbero fatto (cioè di ammazzare i loro figli). Bella storia. Aldo.

Da Franco:

Condivido in pieno l'impostazione di Ciccone ripresa da Paolo, anche perché evita proprio quello che almeno in passato mi faceva essere diffidente rispetto a gruppi maschili che avevo anche tentato di frequentare, ma dai quali mi allontanvo perché vedevo all'opera o 'il maschio femminista', oppure proposte che imitavano o tentavano di imitare le pratiche femministe.

Penso invece che la questione di discutere su quello che i maschi hanno prodotto come totalità e cioè il modello patriarcale, sia certamente la strada da cominciare a percorrere. Soprattutto riprendendo il finale dell’analisi di Paolo quando parla di un universo condiviso di stereotipi fra chi fa violenza alle donne e chi ne è fattualmente estraneo.

Faccio un’altra piccola aggiunta: poiché è sempre bene partire moralizzando o cercando di farlo partendo da dove si opera, ecco una pratica assai diffusa fra i poeti umanisti che ha a che fare con la discriminazione di genere! Sembra una questione minore ma secondo me non lo è. Accade abbastanza spesso di udire in dibattiti pubblici, illustri poeti e umanisti dichiarare il loro disprezzo per il computer e la preferenza per la penna e la matita. Niente di male naturalmente. Anch'io quando mi sono accorto che non ero più capace di scrivere a mano, mi sono un po' spaventato e ho ripreso a farlo.

Tuttavia sappiamo bene che non è possibile oggi fare nulla di cartaceo senza ricorrere al computer, né libri né riviste, per non parlare di tutta un’altra serie di operazioni. I letterati e poeti in oggetto a domanda su come poi fanno a risolvere questo problema molti rispondevano candidamente di ricorrere chi a studentesse universitarie (qualora siano docenti), chi ricorrendo al lavoro non pagato di altri: quasi sempre donne, ma non sempre; alcuni vergognandosene un po' altri non riuscendo neppure a percepire il problema. Forse una presa in giro dell'umanista innamorato della penna d'oca potrebbe essere un modo di prendere le distanze da una pratica che so essere assai diffusa e nascosta. Franco.

Da Paolo in risposta ad Aldo:

Caro Aldo, quello della violenza è decisamente il tema più terribile. Le tue osservazioni, che chiaramente nascono da sguardo di genere, aprono a ulteriori considerazioni. Perché in guerra non sono solo i figli maschi ad essere uccisi, se mai lo sono state le guerre attuali non sono più la ‘nobile arte di confronto virile’, così come ce la spacciavano, ma svelano interamente la loro natura di macelleria civile totale  e le donne, con vecchi e bambini, vengono uccise dai bombardamenti indiscriminati sulla popolazione oltre ad essere sottoposte agli stupri etnici. D’altra parte negli eserciti ci sono donne. Suona un po’ come una ‘giusta punizione’ per gli eccessi di libertà cui la donna si è data.

Quello che va tematizzato, seguendo il ragionamento di Ciccone, è proprio il nesso tra le pulsioni generatrici di violenza e la costruzione sociale della virilità. Che affonda le sue origini nella costruzione dei miti maschili patriarcali. Ciccone dedica non poche pagine introduttive al problema e vorrei poi tornarci su, riporto qui qualche riga della sua analisi: “La guerra si ripropone nella doppia veste di estrema tragressione e conferma di un ordine sociale e simbolico che a ogni crisi sembra riaffermare la propria forza. Proprio quando a noi appare un residuo del passato, riemerge nei campi profughi e nelle stanze buone delle democrazie occidentali la retorica della patria e dell’onore, la demonizzazione del nemico e dunque delle differenze al proprio interno, la riduzione del dubbio a tradimento o ad oggettiva complicità col nemico. La guerra è fatta da uomini che si rappresentano con le due facce della virilità: i difensori dell’onore dei padri, custodi della purezza del sangue e delle tradizioni, e quelli presuasi di essere portatori di una razionalità astratta che, affrancata dalle pulsioni del corpo e della natura afferma la propria superiorità come portatrice di regole e tecniche valide per ogni angolo della terra.”

Come vedi dunque il discorso va spostato sul corpo maschile, sulle sue pulsioni e sulla sua regolamentazione (le qualità virili dell’autocontrollo, dell’emancipazione dalle emozioni, ecc…) in una cultura che ci attraversa tutti. Paolo.

Da Aldo:

Carissimo Paolo

interessante. E' in fondo per questo motivo che guardo con molto interesse al rapporto omosessuale tra maschi. Da come lo ho visto in vari paesi mi pare che la tenerezza tra uomini abbia il pregio di diluire finalmente quella eterna competizione che gli uomini si portano dentro (per le donne, per la forza, la virilità, il lavoro ecc.) che spesso, quando non è sublimata dalla amicizia, avvelena i loro rapporti.  Aldo

Da Paolo:

Caro Aldo, riprendo oggi questa tua mail perchè il libro di Ciccone (che finisco ora di rileggere) si conclude proprio con quanto tu vieni osservando. Al di là di come si rapportano tra loro gli omosessuali (con i quali Ciccone ha stabilito rapporti di comune ricerca nei vari gruppi cui l'associazione Maschile Plurale ha dato vita), la posta in gioco è propria una diversa relazioni tra maschi. Credo che possa interessare tutti noi riportare qui le ultime righe del penultimo capitolo del libro e parte dell’ultimo capitolo intitolato ‘La fertilità del disagio’:

-“Se per il femminismo la costruzione di luoghi separatisti di donne corrispondeva alla scelta di rompere con un ordine in cui era il rap­porto con l’autorità maschile a dare senso alle parole e alle relazioni, per il nostro percorso non si tratta di produrre luoghi estranei a un ordine che ci nega, ma dar vita a una diversa qualità delle relazioni tra uomini.

Per questi motivi l’esperienza dei gruppi uomini ha posto al centro delle sue pratiche la ricerca di una diversa socialità maschile e di una capacità di comunicazione della propria emotività tra uo­mini. Questa sperimentazione, come abbiamo visto, ha mostrato al tempo stesso la sua fertilità e la sua ambiguità: rischio di cadere nella ricerca di complicità o consolazione, ma anche tentativo di costruire nuove forme di comunicazione e di intimità tra uomini, diverse dal cameratismo.

La fertilità del disagio.

Credo che l’imbarazzo vissuto tra noi e la fatica a costruire co­municazione nei gruppi uomini vadano considerati come risorse producendo non ambigua accoglienza, ma strumenti per guardare con maggiore acutezza alle nostre storie. Ho scoperto la fertilità nel disagio provato per un contatto tra uomini, che avevo sempre evitato più o meno distrattamente, e la mia difficoltà all’intimità con altri uomini. Nel gruppo romano provammo un giorno a metterci attorno a un tavolo, a occhi chiusi, incontrando le mani degli altri e poi la­sciando che questo contatto fosse l'unica forma di comunicazione. Oltre all'imbarazzo di immaginare la scena ho fatto l'esperienza di un disagio più profondo che consisteva nel!'avvertire un contatto molto sensibile con le mani di altri due uomini, reso più intimo dall'essere a occhi chiusi e in silenzio. Una modalità che avevo conosciuto solo con donne. Il timore di essere invasi, quello di essere fraintesi per un movimento che potesse apparire una carezza, il disagio per un'inti­mità non "codificata" hanno rappresentato un'esperienza conosci­tiva che è stata parte delle tante riflessioni fatte. Penso che anche il ridicolo - quello che ho provato quando in un incontro nazionale mi sono trovato a ballare il tango tra uomini per sperimentare la di­versa esperienza di condurre o lasciarsi condurre - sia un passaggio ineludibile perché rivelatore di molte norme introiettate e di tabù impliciti. Lo stesso sguardo ironico di molte donne sulle nostre ingenue sperimentazioni credo sia indice di una loro fertilità e di una libertà che ci siamo dati: la libertà di apparire ridicoli, cioè non corrispondenti a un'aspettativa, o privi di quell'autocontrollo, di quel "saper stare nel mondo" che spesso accompagna approfondite riflessioni teoriche sulla centralità del corpo. Dobbiamo disimparare quello che sappiamo su di noi e sul nostro stare nello spazio, che abbiamo sempre percepito come naturale, per scoprire una diversa potenzia­lità delle nostre relazioni e del nostro corpo, per trovare una nuova e diversa libertà.”-

Da Aldo:

Relativamente alla pagina di Ciccone riportata da Paolo mi sembra di poter dire che resto sempre sorpreso quando sono in viaggio nei paesi musulmani, o anche solo africani,  vedere ragazzi o uomini tenersi per mano in modo del tutto naturale mentre vanno per strada. Qui da noi cosa inimmaginabile, scandalosa e urtante. Abbracci. Aldo.

Da Adriana in risposta ad Aldo:

Aldo secondo me quanto dici andrebbe analizzato a partire dalla nostra situazione  culturale,  nella particolarità delle relazioni tra uomini, ma soprattutto tra uomini e donne nella nostra società : cioè in occidente.

Ciccone è collocato  all’interno di una società caratterizzata da un'emancipazione  femminile abbastanza avanzata - almeno in astratto, prescindendo dal concreto di molte relazioni- , una società collocata nell'orizzonte della parità tra donne e uomini, inscritta ormai, volenti o nolenti,  nel discorso dominante, così come è per l'uguaglianza di tutti e tutte (articolo 3 della nostra Costituzione),  ideale non certo raggiunto, ma appunto all'orizzonte e motore di lotte e conflitti.

Questo ha le sue conseguenze in tutte le dimensioni della nostra vita e del nostro sentire: lavoro, famiglia, piacere, desideri, fantasie, paure, sogni, valori, ideali, attese di realizzazioni...

Io non conosco molto delle culture dei paesi africani e asiatici, e, non avendo viaggiato come te, non conosco neppure gli aspetti fenomenici che saltano all'occhio di un osservatore, attento come sei tu; inoltre la situazione si complica a causa  del prorompere dell'islamismo radicale, con i suoi eventi luttuosi, che ingarbuglia le idee a me, occidentale, e rischia di accomunare tutto il dettato islamico e/o induista a posizioni fondamentaliste, come se un viaggiatore dello spazio, atterrato sul nostro pianeta nel corso delle guerre di religione del XVI secolo in Europa considerasse il messaggio cristiano come un messaggio di tortura e assassinio. Per tutto quanto detto mi sembra che la considerazione della donna nei paesi che citi sia per lo meno contraddittoria, provo a gettare alla rinfusa le mie conoscenze in proposito: grande considerazione all'interno del privato casalingo, anche se in certe culture la donna deve mangiare e stare separata dagli uomini estranei alla casa, ma all'interno del gineceo rispetto; poi in Afganistan non possono andare a scuola, al lavoro;  dove c'era una costituzione avanzata sul piano della parità, anche in seguito alla lotta comune tra uomini e donne contro la colonizzazione,  negli ultimi vent'anni si è sovrapposto il Codice familiare, parlo di Algeria e Tunisia, con regressione dei diritti della persona: è vero che la repressione politico-sociale colpisce anche gli uomini, ma le donne di più perché impedisce una loro autonomia di vita e le rende dipendenti dagli uomini.

Tralascio fenomeni di mutilazioni genitali, che tra l'altro non c'entravano con la cultura islamica, ma sono state accolte da questa in certi paesi; qui non sto facendo un discorso di migliore o peggiore situazione socio-culturale (è ovvio che a me sembra migliore la mia, nella quale sono immersa e secondo la quale ho costruito la mia soggettività), ma mi sforzo di osservare le differenze, per comprendere meglio le relazioni tra uomini, se le situazioni sono più o meno sostenibili  e appaganti lo dicano, e lo dicono, i soggetti di quelle società e culture, donne o uomini che siano..

Per quanto riguarda il lontano oriente non parlerò dei femminicidi, degli aborti selettivi nei confronti delle bambine, delle vedove indiane o le donne sfigurate da parte della famiglia del marito, scontenta della dote..., mi limito a rilevare che quando il banchiere Munus ha deciso di aiutare in qualche modo delle popolazioni a uscire dalla condizione di assoluta miseria ha proposto il piccolo prestito alle donne, sostenendo che in tal modo si assicurava il sostentamento di tutta la famiglia, vecchi e bambini inclusi, altrimenti gli uomini si sarebbero bevuti e/o giocati il piccolo prestito ottenuto.

Tra l'altro ho appena letto che questo strumento è entrato in crisi a causa dell'intromissione di banche e varie..... ahimé.

A questo si aggiunga che per un verso mi pare che lì l'omosessualità sia meno temuta a livello culturale: so che nei paesi fondamentalisti sono ammazzati gay e lesbiche, ma appunto paesi fondamentalisti, altrove credo sia diverso: nell'harem le donne  potevano avere rapporti (il lesbismo non viene visto spesso neanche qui), il rapporto  tra i corpi è meno normato, anche gli uomini si abbracciano, si baciano, piangono, ballano.

In occidente si è inventata la stretta di mano per tenersi lontano.

Tutto questo che cosa a che fare con l'omosessualità maschile?

Tutto questo per dire che, in una situazione del genere  le affettuosità tra gli uomini non è detto siano segno di omosessualità, e nello stesso tempo,  in che modo stanno con la rigidità delle norme nei confronti delle donne.

Mi accorgo che ho alla fine perso la mia domanda di partenza, suscitata dagli interventi di Paolo e Aldo:  …il fatto che uomini di altre culture mostrino maggiore "libertà" nei confronti e del proprio corpo - mentre i nostri uomini l'hanno ricoperto di corazze interiori e esteriori - e nei confronti degli altri uomini a noi appare per l'appunto un elemento di libertà, mentre bisognerebbe indagare le radici delle relazioni uomo donna, per comprendere le relazioni uomo-uomo (così come per le donne indagare le relazioni uomo donna per comprendere quelle donna donna) e vedere se non si tratti di apparente libertà, dettata dall'impossibilità di avere libere relazioni appunto uomo donna, almeno in pubblico..

Da Aldo:

Carissima Adriana

mi pare che ci troviamo di fronte a un problema particolarmente complicato. Hai ragione, credo che bisognerebbe esaminare insieme il problema del rapporto uomo-uomo, uomo-donna, donna-donna. Tanto per incominciare io mi chiederei se nelle società più tolleranti nei confronti della omosessualità maschile il rapporto uomo donna è meno violento. Nella società machista sudamericana (ci vuole poco per capirlo) in genere le donne vengono picchiate senza ragione (basta leggere I figli di Sanchez di Oscar lewis) e anche in quella indiana le donne sono particolarmente svantaggiate. Nelle società mussulmane (dove l'omosessualità maschile viene informalmente tollerata come fase della sessualità prematrimoniale) cosa succede? Non lo so, ma spesso le donne cristiane di Addis Abeba mi hanno detto che i mariti arabi sono molto rispettosi delle loro donne e le amano moltissimo. Bisognerebbe andare a vedere più a fondo. Un bel problema comunque.

Per altri versi è ovvio che l'omosessualità maschile ha forme molto diverse. Il mozzo da culo delle galere veneziane o l'omosessualità da caserma, da penitenziario, o da collegio (Musil e il giovane Torless) sono ovviamente rapporti violenti.  Ma forse l'omosessualità come complemento dell'amicizia nella fase prematrimoniale (paesi mussulmani) o come rapporto pedagogo-discepolo nella antica Grecia (ripreso da Foucault) hanno un senso diverso. Io me la prenderei anche poco con i preti pedofili, benché la Chiesa faccia bene a pagare per una colpa che essa stessa istilla nelle persone (In generale considero la campagna attuale, generica e incondizionata, contro la pedofilia, come una nuova crociata contro nuove streghe e nuovi capri espiatori che purtroppo in una società benpensante ci devono sempre essere. Ma qui ovviamente il discorso si complica un'altra volta).  Aldo

Da Paolo:

Per alimentare un po’ la questione  riporto dal sito ‘Forum Gay friendly Roma’ una serie di notizie sull’omosessualità nel mondo islamico.

Un intervento del maggio di quest’anno intitolato ‘L’omosessualità nelle culture islamiche’ consiste nella relazione di un giornalista conoscitore e viaggiatore nell’Islam, tal Giorgio Gigliotti. (Catanzaro, 1960, collabora con “Manifesto” e “Rinascita”. Ha diretto la webzine “Interact Press”. Inviato per Radiorai nel Magreb.  Ha pubblicato il suo primo libro di narrativa: “Hotel Allah. Racconti dall’Islam”. In precedenza ha pubblicato otto monografie sui Paesi del bacino Sud del Mediterraneo).

Stralcio qua e là:

“…è importante sottolineare che l’Islam non si occupa di valutare l’orientamento sessuale dei propri fedeli, ma solo il loro comportamento. La religione islamica considera la sessualità come fusione stretta di fisicità e spiritualità e dunque l’atto della sodomia, che nel Corano viene paragonata come gravità all’adulterio, presuppone una sottomissione fisica, ma anche e soprattutto mentale-spirituale che non è tollerabile ed accettabile, poiché ogni uomo islamico può sottomettersi esclusivamente al cospetto di Dio. In questo senso la visione dell’omosessualità maschile nella maggioranza del mondo arabo ricorda molto da vicino quella arretrata dell’Italia del Sud di una o più generazioni fa secondo il famoso motto “si fa, ma non si dice”: esiste una differenza fra chi svolge il ruolo attivo e chi si sottomette in un ruolo passivo, non è considerato molto deplorevole avere esperienze omosessuali attive con giovani ragazzi per poi sposarsi con giovani donne arabe senza che nessuno mai parli di questo mal costume affermato di cui tutti sono a conoscenza, ma di cui nessuno deve proferire parola e soprattutto senza mai mettere in dubbio la propria eterosessualità. In questo senso fin dal 600 d.C. la cultura islamica considera l’amore omosessuale come componente innata nell’uomo; lo stesso Maometto invita i suoi uomini a vincere la tentazione di lasciarsi sedurre da giovani imberbi ed apparentemente innocenti lasciando intendere quanto questa fosse una pratica nota e consolidata nella società.

…E’ importante però sottolineare che, così come nel mondo cattolico occidentale, il mondo islamico è tutt’altro che monolitico. Esistono centinaia di correnti di pensiero e soprattutto gli stati islamici presentano gradi di sviluppo della società civile che sono molto diversi tra loro. Nella maggior parte dei casi, ad eccezione della Turchia che gravita molto nella sfera di influenza europea, si tratta di stati totalitari con regimi quasi dittatoriali, nei quali non è mai stato avviato un reale processo di democratizzazione. Tuttavia sul piano dei diritti c’è una profonda differenza fra stato e stato: sono sei gli stati nei quali è prevista la pena di morte per impiccagione per il reato di omosessualità e sono Iran, Somalia, Somaliland, Sudan, Mauritania e Yemen nel quale è anche prevista la tortura. Gli unici paese di cultura islamica nei quali il codice penale non prevede pene per l’omosessualità sono la Turchia e l’Egitto a dimostrazione del fatto che la differenza fra stato e stato è fatta dalla società civile e dal suo sviluppo così come accade in Europa fra due stati tradizionalmente cattolici, ma politicamente e socialmente molto diversi come Spagna ed Italia.

La situazione delle associazione gay è molto difficile, come è facile immaginare. Fatta eccezione per la Lambda Istanbul, con sede nella città turca, e della Helem con sede a Beirut, le altre realtà associative, dove esistono, sono pseudo-clandestine o operanti solo virtualmente su internet. Gli unici esempi di Gay Pride si sono avuti in Turchia a partire dal 2005, ma come detto questo stato rappresenta un po’ un’isola felice nel panorama del mondo islamico. Nello stesso Egitto non sono mancati negli anni episodi di retate ed arresti di persone omosessuali con i più svariati pretesti (turbativa dell’ordine pubblico…) per compiacere i partiti e le aree più conservatrici del paese. Allo stesso tempo, anche se i casi di persone gay occidentali arrestate sono molto pochi, si sa di episodi di vera e propria rappresaglia con poliziotti e forze dell’ordine che si fingono gay per adescare ed arrestare giovani omosessuali.

Per quanto riguarda le donne, così come nelle società più antiche maschiliste e patriarcali, il lesbismo non è punito ed è relativamente tollerato poiché le famiglie hanno a cuore la verginità delle proprie figlie. Di conseguenza l’amore lesbico non è esplicitamente condannato dalla legge coranica, ma viene tacitamente tollerato a patto di mantenere il massimo riserbo al riguardo. Il transessualismo, invece, viene abbastanza tollerato poiché, come detto in precedenza, l’Islam non giudica l’orientamento sessuale, ma solo il comportamento: per questo si arriva casi paradossali come l’Iran, paese fortemente integralista ed omofobo, nel quale, tuttavia, lo stato assiste e paga integralmente tutti i costi per le operazioni di riattribuzione del sesso.”-

Da Franco:

Nella parte di mondo nella quale viviamo, comunemente definita occidente, il femminismo e anche più in generale la scrittura e il protagonismo sociale delle donne, hanno posto problemi inediti, rispetto ai quali gli uomini hanno reagito in forme diverse (alcune criminali), tentando in alcuni momenti di affrontarli anche collettivamente, quasi mai riuscendoci fino ad ora. Anzi, secondo me, quando hanno tentato di farlo collettivamente hanno prodotto movimenti, organizzazioni e pratiche che hanno mediamente oscillato fra il ridicolo e lo scimiottamento delle pratiche femministe.

Anni fa ricordo che l’associazione dei casalinghi italiani si fece notare per alcune rivendicazioni e atteggiamenti battaglieri che finirono sui giornali e anche in qualche trasmissione televisiva. Non ricordo se la Melandri o un’altra esponente del movimento delle donne, scrisse un articolo assai ironico che sostanzialmente diceva: insomma, hanno appena imparato a tenere un aspirapolvere in mano e già rivendicano diritti, pensione ecc. Aveva perfettamente ragione!

Questo spiega solo in parte, però, il mio perdurante ‘stare alla finestra’ rispetto alle collettività maschili, che ha una motivazione più profonda.

Penso che il problema che gli uomini devono affrontare oggi in occidente sia opposto a quello che si sono poste le donne nel momento in cui è nato un pensiero femminista (ma secondo me era vero anche per i movimenti di emancipazione di fine ‘800). Mentre le donne potevano prendere coscienza solo collettivamente della loro condizione, non soltanto sociale ma anche contrassegnata dalla subordinazione allo sguardo maschile e quindi dalla concorrenza fra individue che combattono fra loro per essere scelte, l’uomo di fronte ai problemi posti dal femminismo ha la necessità di capire come diventare individuo, liberandosi del doppio vincolo della cattiva e talvolta omertosa complicità maschile (nei suoi diversi gradi di gravità, dalle forme più efferate a quelle più sottili) e dalla dipendenza dal femminile materno-accudente. La difficoltà maggiore è proprio questa per me: diventare individui e aggiungo a questo l’aggettivo autonomi, cioè capaci di stare sulle proprie gambe sia da un punto di vista banalmente pratico (cucinarsi il cibo e non comperare scatolette o andare sempre al ristorante, lavarsi la biancheria, tenere in ordine la casa ecc. ecc.), sia a livello sentimentale (rifiuto dell’ideologia del ‘sistemarsi’), senza ricorrere a ‘stampelle femminili’. Solo da questa condizione può nascere (e non è detto che sia facile anche così), una relazione equilibrata: sia fra maschi omosessuali, sia fra maschi e femmine etero, sia fra femmine lesbo. Perciò non credo che la tenerezza fra maschi porti di per sé a un atteggiamento diverso nei confronti delle differenze di genere o del rapporto con il femminile, sia in senso lato (il proprio femminile interno), sia nel rapporto diretto con l’altro genere. Credo che tutti noi conosciamo maschi misogini, sia etero sia omo e viceversa, ma conosco un buon numero anche di femmine ‘misandrone’ (si dice così?)

Un mito recente legato alla omosessualità sia maschile sia femminile, era quello della diversità e maggiore ricchezza dei rapporti omo-lesbo. In realtà si tratta di una mitologia, il caso più comune è quello di coppie che riproducono esattamente la stessa divisione in ruoli codificata dal modello di rapporto eterosessuale dominante, oppure estremizzino la loro relazione, accentuando fino al parossismo alcuni clichè ritenuti tipicamente maschili (la propensione alla promiscuità), o femminili come il rinchiudersi domestico in una dimensione demetriaca soffocante, oppure da Atene guerriere: un film come Le fate ignoranti è assai significativo al proposito.

Seconda questione. Come è nelle altre culture? Io credo abbastanza che nei paesi islamici, la tenerezza maschile nei confronti delle donne all’interno dei rapporti di coppia matrimoniali, la premura ecc. siano sostanzialmente vere, ho avuto modo di constatarlo durante un lungo soggiorno in Siria, ma qui veniamo al punto: in Siria! È percepibile che sia così in quel contesto (almeno nelle grandi città) perché le donne di quel paese accettano e non mettono in discussione la subordinazione codificata e la rigida separazione di ruoli e funzioni. Ne è prova il fatto che le più atroci forme di violenza e di repressione nei confronti delle donne (a parte l’infibulazione che è un retaggio culturale tradizionale di certe popolazioni nilotiche), sono avvenute in paesi dove sono esistiti ed esistono  movimenti di donne che hanno intrapreso percorsi di emancipazione e liberazione (Iran Afghanistan), oppure in Algeria, dove le donne erano state protagoniste di primo piano nella guerra di liberazione nazionale. Quello che spaventa gli uomini, a tutte le latitudini, ma in forme di reazioni diverse a secondo dei contesti, non è l’autorevolezza o anche il prestigio di una singola donna (gli uomini adorano le grandi figure femminili della storia e si fanno spesso dominare da ‘quella donna’), ma il protagonismo sociale di massa delle donne.

Non entro qui nel merito di altre riflessioni vostre comparse in rete in questi giorni, limitandomi a dire che in un momento come questo di degrado di orizzonti di prospettiva e di cambiamento, non mi stupisce più di tanto che vi sia un recupero di ruoli tradizionali e in forme particolarmente estreme, anche perché, lo ripeto, tutto questo finisce sulle prime pagine e nei telegiornali mentre altre cose no, come afferma Paolo in uno dei suoi ultimi messaggi.

Da Laura:

L'imbarazzo che gli uomini provano nel relazionarsi fisicamente tra loro mi ha sempre colpito. Pare strano, ma è importante che finalmente lo si dica e che a farlo sia proprio un uomo. Quasi che il corpo fosse un territorio riservato alle donne, come lo sono le emozioni. Eppure tutti sappiamo che in una società molto maschilista come quella  dell'Italia meridionale, dove vige il terrore dell'omosessualità si siano spesso visti uomini ballare tra loro.

Nell'infanzia si nota una assoluta disinvoltura nei maschi (lo dico come madre di due) nel rapportarsi fisicamente, quando pare che il sesso sia ancora qualcosa di indistinto. Sopraggiunge poi l'educazione, solitamente paterna, ma  non solo, a frenare qualsiasi tipo di contatto fisico  e lo scambio di affettuosità tra maschi, indirizzando il comportamento verso il controllo degli atteggiamenti da tenere con rappresentanti del proprio sesso e con  le femmine. Vengono  cosi incentivati la violenza, l'uso delle armi, il disprezzo per le femmine, ritenute deboli in quanto vittime delle proprie emozioni.

L'imbarazzo e il disagio finiscono per coinvolgere tutta la sfera emotiva, al punto che si nota nel maschio una solitudine che le donne di norma non conoscono, per la capacità di confidarsi, di muoversi con maggiore disinvoltura nel rapporto con il proprio corpo: esse non temono la confidenza con le compagne, perché non hanno difficoltà a mostrare le proprie debolezze, ad affrontare problemi che un maschio eviterebbe anche solo di sfiorare per non sminuire la propria immagine.

Ricordo  un adolescente che mi aveva confidato un suo insuccesso sentimentale: mi raccomandò di non parlarne con nessuno per questioni di immagine. Temeva, addirittura, di essere emarginato dai compagni come perdente. Che lui piangesse doveva restare un segreto, poiché ciò avrebbe finito per danneggiare la sua reputazione di uomo forte. Il pianto, consentito  alle femmine e dileggiato, avrebbe potuto renderlo effeminato agli occhi dei compagni.

Quanto all'amore omosessuale maschile, credo sia consentito in fase prematrimoniale in società fortemente repressive  verso i rapporti sessuali delle donne, per garantirne la verginità. Se poi  l'omosessualità rappresenta davvero  una componente innata, ciò pare manifestarsi attraverso il tipo di richiesta di prestazione sessuale alla propria partner.

Quanto alle coppie gay, specie se maschili,  non sono sicura che rappresentino un tipo di relazione nuova nelle proprie dinamiche interne. Ho notato, anzi, il riproporsi di una divisione dei ruoli molto simile a quella delle coppie eterosessuali, almeno nella pratica quotidiana.

Ritengo che se gli uomini imparassero a rapportarsi con il proprio corpo e con le proprie emozioni con maggiore naturalezza, se riuscissero a elaborare una diversa immagine del maschio non improntata allo stereotipo  dell'uomo razionale  e necessariamente forte, riuscirebbero forse ad accettare anche il rifiuto amoroso, la sconfitta e chissà- non si accanirebbero tanto sulle donne che si permettono di rifiutarli, non ritenendo ciò un'offesa indelebile, intollerabile per l'uomo che non deve chiedere mai. L'ossessione per l'immagine virile richiesta dagli stereotipi sociali/patriarcali, come si manifesta nelle relazioni tra rappresentanti dello stesso sesso, è pericolosa, se non grottesca.

Purtroppo è quella che sembra riaffermarsi in questi tempi di generale regressione della società  come  recupero dei ruoli tradizionali.