Questioni di confine: l'umano e la macchina, il postumanesimo e il conflitto sociale |
Aree tematiche - L'altra globalizzazione |
Mercoledì 09 Novembre 2016 14:28 |
Questo articolo è composto da due parti, la prima che riguarda il tema del confine tra umano e macchina, di Adriana Perrotta Rabissi, la seconda che riguarda postumanesimo e conflitto sociale di Franco Romanò I parte Nei tre saggi che compongono il Manifesto Cyborg Donna Haraway indaga il rapporto tra scienza tecnologia e identità di genere. In contrasto con le posizioni essenzialiste di parte del femminismo adotta la metafora del Cyborg come figura in grado di sovvertire l’ordine del discorso patriarcale e mettere in crisi l’epistemologia maschile. In the three essays composing the Cyborg Manifesto Donna Haraway investigates the relationship between science technology and gender identity. In opposition to the essentialist positions taken by part of the feminist movement,she takes cyborg metaphor as a figure able to subvert the order of speech and consequently putting in crisis male epistemology.
Preferisco essere cyborg che dea (Donna Haraway), di Adriana Perrotta Rabissi
Oppure si inventano protesi sempre più sofisticate, quale il braccio messo a punto da un ingegnere giapponese che è controllato da impulsi elettrici prodotti dal corpo, il che porterà a risultati impensabili nel campo delle protesi, per non parlare dello stadio ormai avanzato di creazione di Intelligenza artificiale. Il cyborg salta il gradino dell’unità originaria [la simbiosi pre-edipica], dell’identificazione con la natura in senso occidentale: questa è la sua promessa illegittima che potrebbe portare al sovvertimento della sua teleologia da guerre stellari ... Superando la polarità di pubblico e privato, il cyborg definisce una polis tecnologica in parte fondata sulla rivoluzione delle relazioni sociali nell’oikos. Natura e cultura vengono ripensate; l’una non può più essere la risorsa che l’altra fa sua e incorpora …Il cyborg non sogna una comunità costruita sul modello della famiglia organica, per quanto senza progetto edipico… Certo, il problema sta nel fatto che i cyborg sono figli illegittimi del militarismo e del capitalismo patriarcale, per non parlare del socialismo di stato. Ma i figli illegittimi sono spesso estremamente infedeli alle loro origini: i padri, in fondo, non sono essenziali. 3 Nelle tradizioni della scienza e delle politiche occidentali, la tradizione del capitalismo razzista e fallocentrico, la tradizione del progresso, la tradizione dell'appropriazione della natura come risorsa della produzione di cultura, la tradizione della riproduzione di sé dallo specchio dell'altro, la relazione tra organismo e macchina è stata una guerra di confine. Le poste in gioco di questa guerra sono state i territori della produzione, riproduzione e immaginazione. Questo saggio vuole essere un argomento a sostegno del piacere di confondere i confini e della nostra responsabilità nella loro costruzione. 5 1 Donna J. Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie, e biopolitiche del corpo, Introduzione di Rosi Braidotti, Traduzione e cura di Liana Borghi, Feltrinelli, Milano¨ 1995 2 ibidem, pp. 39-40 3 ibidem, p. 42 4 ibidem, p. 84 5 ibidem, p. 41
II parte Partendo da alcune affermazioni di Papadopoulos e Braidotti, il saggio cerca di individuare in quale modo il pensiero post umanista possa contribuire a creare movimenti di resistenza. Starting from some statements by Papadopoulos and Braidotti, the essay tries to focus on the the way how post human thought may contribute to the creation of resistence movements. Postumano e conflitto sociale, di Franco Romanò. Ho preso come nucleo paradigmatico di questa riflessione una citazione di Popadopoulos del 2010, contenuta nel capitolo dell'introduzione di Rosi Braidotti a la Camera blu intitolato Zoe è il principio guida. L’impellente questione femminista è questa: come combinare il declino dell’antropocentrismo con i problemi della giustizia sociale? Come può il “post antropocentrismo insorgente” venire in soccorso della nostra specie? (Papadopoulos, 2010) Con questo interrogativo l’autrice aggredisce un punto centrale di tutta la questione e cioè la difficoltà di far sorgere conflitti dalla mole di analisi e proposte prodotte, ma anche di saper creare un circuito virtuoso fra tali riflessioni e analisi e lotte che esistono già. La stessa Camera blu fornisce un esempio di questo.1 L’intervento di Laura Guidi si riferisce infatti all’esperienza ricchissima di lotte condotte nella Terra dei Fuochi, che vedono le donne in prima linea.2 Tale intervento sembra un corpo estraneo rispetto a tutti gli altri o al massimo parallelo; eppure in quell’esperienza di lotte confluiscono tematiche ambientali, competenze diffuse e trasversali che si possono ricondurre al discorso intorno al general intellect e molto altro ancora. Diamo per scontato che l’informazione main stream di questo non si occupa, ma il problema ancor più grande è perché non riusciamo a forare il video, cioè a socializzare seppure fra segmenti allargati di movimenti, un’esperienza così importante. È un nodo che abbiamo già individuato e che viene messo in luce anche dall’intervento di Marino Badiale dedicato a due libri recenti ( J.B. Schor, Nati per comprare, Apogeo 2005, e J. Balkan, Assalto all’infanzia, Feltrinelli 2012) di cui riporto di seguito l’inizio: Ci siamo chiesti tempo fa "perché la gente non si ribella?", e abbiamo esaminato alcune possibili risposte. Avevamo detto che forse, per trovare risposte convincenti, occorre indagare temi di psicologia e antropologia. Qualche indizio (non una risposta compiuta, s’intende) mi sembra di averlo trovato in questi due libri, che descrivono, in modi diversi ma convergenti, come l’attuale sistema economico stia invadendo la sfera dell’infanzia per trasformare, ad un’età sempre minore, i bambini in consumatori compulsivi. Si tratta di un esempio perfetto di ciò che, assieme al compianto Massimo Bontempelli, avevamo chiamato “capitalismo assoluto”: il fenomeno per il quale la logica del profitto e dell’accumulazione capitalistica si estende a tutti gli ambiti della vita, anche a quelli che tradizionalmente ne erano immuni, o solo marginalmente sfiorati. 3 Questo punto di vista allarga ulteriormente il campo dell’analisi e si tratta di un contributo prezioso che tuttavia rimanda alla difficoltà di connettere fra loro diverse esperienze di lotta che esistono già. Lo abbiamo constatato anche noi a Parma dove abbiamo trovato una platea refrattaria a ogni proposta.4 Ultimamente poi, Latouche, sempre più irritante nella sua spocchia intellettuale e vacuità di propositi, si è inventato lo slogan Bisogna essere atei della crescita. Ora, essere atei di qualcosa significa né più né meno che essere subalterni all’agenda dei credenti in quel qualcosa, rimanendo interni a un falso movimento che non è altro se non un’inconcludente antinomia: è la deriva che subiscono i pensieri antidialettici, incapaci per questo di concepire qualsiasi prassi e la cui sola abilità consiste – come in un’infinita e sfinente partita a tennis - nel gettare il proprio argomento nel campo avversario e attendere la replica dell’altro giocatore. Provo a indicare alcune ipotesi possibili su questa difficoltà ad aprire conflitti, cercandola un po’ più in profondità rispetto alla constatazione di per sé evidente che ciascuna lotta è un vaso chiuso e non comunicante e che nella maggioranza dei casi non vede neppure che questo costituisce un problema. La prima ipotesi riguarda il soggetto. Papadopoulos afferma come può post antropocentrismo insorgente venire in aiuto alla nostra specie? Difficile dare una risposta anche perché a mio avviso esiste una domanda precedente: Chi insorge? Qual è il soggetto che dovrebbe insorgere? Post antropocentrismo non è un soggetto, sia perché comprende altri viventi con i quali non siamo in grado di comunicare, sia perché, rimanendo nell’ambito dell’anthropos, si può parlare se mai di un pluralità di soggetti con contraddizioni non da poco al loro interno. Tuttavia, sempre Papadopoulos così inquadra il problema nel prosieguo della sua analisi: La soggettività postumana femminista necessita di una nuova prassi politica. Tali cartografie ci consentono di sviluppare analisi politiche delle soggettività contemporanee basate sul principio del non-profitto e quindi su un’altra etica. Esse attualizzano le possibilità virtuali di un se esteso e relazionale, che funziona nel continuum natura-cultura ed è tecnologicamente mediato, ma non estraneo al potere e catturato in molteplici rapporti di inclusione ed esclusione. Il femminismo neo-materialista si fonda sull’idea che la materia, compresa quella parte determinata della materia che è l’incarnazione umana, è intelligente e capace di autorganizzazione. Le femministe potrebbero riconsiderare questo modesto punto di partenza, riconoscendo che la vita non è solo nostra - essa è guidata da zoe e geocentrata. Eppure per noi, membri di questa specie, essa sarà sempre antropomorfa, vale a dire radicata e incorporata, incarnata, affettiva e relazionale. È solo accettando e vivendo con flessibilità la nostra struttura antropomorfa e i limiti e le possibilità che essa comporta, che possiamo diventare creativamente zoe-centrati, aprendo alle possibili attualizzazioni delle potenze virtuali. Possiamo ancora superare l’antropocentrismo divenendo corpi antropomorfi senza organi.
In questo passaggio vengono delineati due temi che ci stanno a cuore: strategie di non profitto e cura sono assai contigui, così come il riconoscimento che spetta comunque all’anthropos, seppure diversamente definito, di farsi carico dei problemi che l’era antropocene ha creato. L’accenno finale a un corpo antropomorfo senza organi è un ossimoro che ci ricorda la tensione del paradosso e che mi spinge e ulteriori riflessioni. Mi sembra che un passo avanti significativo, a proposito del soggetto, si trovi in Braidotti, quando afferma che occorre lavorare: sulle fratture interne a ciascuna posizione del soggetto. Le conseguenze sono di vasta portata, in quanto la morte dell'Uomo ha aperto la strada anche per la decostruzione della Donna: entrambe le categorie vengono messe in discussione alla luce della loro implicita complessità… Il progetto di sviluppare un nuovo tipo di identità nomade post nazionalista europea comporta una disidentificazione dalle identità prestabilite, fondate non solo sul genere e la classe, ma anche sulla nazione. Questo progetto e soprattutto politico, ma contiene anche un forte nucleo affettivo fatto di convinzioni, visioni e desiderio attivo di cambiamento. Naturalmente c’è molto da lavorare e tali propositi vanno messi in connessione sia con quanto affermano Badiale e Bontempelli nel passaggio che ho già ricordato perché la gente non si ribella? - sia con la riposizione del “tema della riappropriazione delle forze produttive… che fanno nel libro Biolavoro globale. Corpi e nuova manodopera» Melinda Cooper e Catherine Waldby.”5
Note 1 La camera blu, Journal of gender studies, Gender and The Post human-_Special_ Issue (1).pdf. Direttore responsabile Caterina Arcidiacono. Rivista curata dal Dottorato in Studi di Genere dell'Università di Napoli edita da FILEMA e pubblicata dal Centro di Ateneo per le Biblioteche dell'Università di Napoli Federico II. 2 Laura Guidi, Lottare per ’ambiente nella “terra dei fuochi”. Dieci storie di donne. Marco Armiero (a cura di). Teresa e le altre. Storie di donne nella terra dei fuochi. Milano: Jaca Book, 2014 3 Marino Badiale (ARS Liguria), Alle spalle dei rivoluzionari, recensione di J.B. Schor, Nati per comprare, Apogeo 2005 J. Blkan, Assalto all’infanzia, Feltrinelli 2012. Pubblicato sulla rivista Consumatori 16 maggio 206. 4 Ci riferiamo al seminario che si è tenuto nel Polo didattico di via del Prato dell’Università di Parma, il 5-6 novembre 2015, dal titolo “Rigenerare il futuro”, al quale abbiamo partecipato come redazione. Al seminario era ospite Pierre Latouche. 5 Catherine Waldby, Melinda Cooper, Biolavoro globale, Corpi e nuova manodopera. Libri Derive e Approdi, Milano 2015 |