Di pandemia, di riflessioni, di conflittualità possibili Stampa
Sabato 26 Settembre 2020 10:53

di Paolo Rabissi

Non sono in molti, né in molte, coloro che sul comportamento di massa durante la fase più critica della diffusione del virus, gettano uno sguardo meno pessimista e fuori dagli schemi. Ci prova a mio parere anche Raffaele Sciortino nell’articolo comparso su Sinistrainrete (https://www.sinistrainrete.info/globalizzazione/18721-raffaele-sciortino-crisi-pandemica-e-passaggi-di-fase.html) il 21 settembre 2020.

Non mi soffermo sulla complessità delle sue analisi (interessanti i commenti dei lettori) che sono peraltro un’articolazione approfondita dei temi svolti nei suoi due libri precedenti[1], mi basta qui prendere in considerazione le sue riflessioni conclusive quando analizza appunto il comportamento medio della massa durante la diffusione del virus.Il trionfo della morte, Pieter Bruegel il vecchio

La prima: “…una parte della classe sfruttata e oppressa, minoritaria ma sostenuta da un senso comune assai più ampio, non è scesa in campo per interessi particolari ma ha in un certo senso lottato contro se stessa come elemento del capitale, ha contrapposto, pur inconsapevolmente, la riproduzione sociale a quella sistemica, ha cozzato, senza volerlo, con i limiti della propria condizione proletaria particolare, interna al capitale, come limiti alla riproduzione della comunità umana.”

Quel ‘pur inconsapevolmente’ e quel ‘senza volerlo’ sono intanto una spia linguistica che merita a mio parere un approfondimento per quello che sottende.

La seconda riflessione: “In secondo luogo, [la massa] ha dimostrato di saper concretamente disconnettere, sia pure per una breve parentesi, la riproduzione della vita dalla riproduzione del capitale.”

Questa è un’affermazione davvero singolare a prima vista. La sua apparente semplicità rimanda invero a una temperie culturale del nostro tempo che a mio parere chiama in causa la presenza del femminismo e delle sue lotte. Perché si può anche far finta che l’espressione sia quello che è, l’affermazione cioè che vivere bene senza malanni è la prima necessità, il primo desiderio dell’umanità. Pensa alla salute! sembra dire… il lavoro è importante certo ma la salute viene prima perciò fermati e vedi di fermare anche gli altri che ti stanno vicino.

 

In realtà sono ormai decenni che nel dizionario di certa sociologia e certa analisi politica critiche la parola ‘riproduzione’ e il sintagma ‘riproduzione della vita’ ha acquistato, soprattutto grazie alle analisi femministe, un significato più complesso. Conoscendo l’autore, credo che lui stesso conosca bene questo significato. E i lettori e lettrici di Overleft anche. Oggi riproduzione della vita significa che la vita tout court è diventata plusvalore. Non solo ‘riproduzione’ nel senso di dare la vita, di curare casa e figli, riprodurre le forze, ma nel senso allargato di cura dell’ambiente e della terra e in senso ancor più allargato di messa a valore della socialità e della sessualità, un allargamento inesauribile della base dell’accumulazione capitalistica. Per citare Cristina Morini : “Qui sta il cambio epocale di paradigma produttivo che noi stiamo vivendo, sperimentando: il terreno di cattura dei processi del neoliberismo e? in modo sempre piu? conclamato la dimensione vitale dei soggetti, affetti, tempo, relazioni, cooperazione, scambi, oltre che materiale genetico, biologico vero e proprio, insomma la dimensione ri-produttiva in senso lato”.[2] E’ quello che abbiamo chiamato anche qui su OL ‘femminilizzazione del lavoro’.

Sembrerebbe dunque, per tornare alla riflessione di Sciortino, che nel corso della diffusione del virus la massa abbia saputo almeno in parte e per un breve momento prendere le distanze dal lavoro produttivo e dal lavoro riproduttivo. Credo che ci sarebbe da indagare sui modi.

Ma penso anche che a quanto dice Sciortino si debba poter aggiungere anche un’altra domanda. Questa: è solo l’occasione del virus che ha determinato questo atteggiamento così diverso (che peraltro sembra aver colpito anche la UE!) e tutto sommato rivoluzionario? La risposta per me chiama in causa solo in parte il virus, l’altra parte più consistente sta nella lenta trasformazione collettiva di mentalità determinata dalle lotte femministe, in particolare degli ultimi decenni ma non solo, sia di natura emancipazionista che più radicalmente e coscientemente anticapitalistiche.

Non uso a caso il temine ‘coscientemente’. Se è vero, come è evidente, che il pensiero rivoluzionario e nella fattispecie quello comunista ha ancora troppe difficoltà ad accettare in massa le premesse teoriche e pratiche del femminismo tuttavia penso che anche il lavoro più radicale del femminismo è penetrato nell’inconscio collettivo, dove si agita con paura se non terrore. Credo abbiano insomma determinato posture mentali che non sono ancora un’etica nuova, una morale, che sono ancora confuse e quindi sotterranee e che in questa crisi di massa dovuta al virus hanno sfruttato l’occasione per manifestarsi.

Di più, penso che la parabola delle lotte dell’operaio fordista abbia indicato fortemente la possibilità di un sistema di vita diverso ma che la forza oggettiva della sua soggettività in azione doveva puntare, per necessità interna alla dialettica della lotta col padrone della fabbrica fordista, a portare fino in fondo esclusivamente le contraddizioni vissute là dentro, svelate, ma pur sempre dentro un meccanismo di emancipazione e maggiori libertà, non di un difficile capovolgimento totale del capitalismo (di cui si è impossessata la lotta armata) ma solo del suo inceppamento (le lotte sul salario prevalentemente) che pure ha rischiato di mandarlo a gambe all’aria. Questa coazione tutta interna al tipo di sviluppo della produzione non lasciava spazio a una contemporanea lotta femminista, anzi il Movimento Operaio, sappiamo, la viveva come antagonista, gli operai dicevano prima la rivoluzione poi di conseguenza anche l’uguaglianza per le donne. La lotta femminista metteva in tensione contraddizioni che chiamavano in causa non la fabbrica in sé ma l’intera riproduzione della vita, compresa addirittura e anzi soprattutto la vita sessuale.

Oggi Sciortino dice che il comportamento di massa ha messo in luce istanze inaspettate, sorprendenti. E’ vero, forse dobbiamo anche riflettere sul fatto che le lotte femministe hanno anche in qualche modo inciso appunto sull‘inconscio collettivo di massa e che forse dobbiamo aspettarci sempre più comportamenti nuovi. La sociologia e anche qualche radicale troverà il modo di nominare queste lotte in modo diverso (basta che non sia femminista) e  oggi il virus si presta alla perfezione. Si dice: attenzione che non sia usato come un pretesto dai padroni per fare questo e quello, ma forse invece il virus è già per sé un pretesto per un salto di coscientizzazione generale che coinvolga anche gli uomini.

Perché in fondo cosa ha svelato il virus? Quali ‘debolezze’ del sistema? Tutte quelle che hanno una dimensione ‘umana’ in buona sostanza femminile, quelle cioè della cura: della famiglia, della scuola, della sanità cioè quelle nelle quali prevale la ‘naturalità’ dei ruoli femminili e nei quali il capitalismo non investe, salvo poi mettere a valore, nelle forme produttive nuove, vita affetti relazioni e corpi.

In qualche modo, che conosciamo, il capitalismo sembra aver scardinato proprio la ‘naturalità’ dei ruoli. Non era vero che la cura della casa, dei figli, del pianeta è questione che riguarda solo le donne, oggi i miei figli ‘curano’ con grande attenzione e piacere i figli, la casa, i corpi, l’ambiente. Non è che condividono il lavoro domestico, non ci pensano proprio, godono di una realtà da cui erano stati tenuti lontani ideologicamente e praticamente. Lockdown e smart working poi fanno il resto. Tutto ciò ha dimostrato che la divisione sessuale del lavoro non era niente affatto un fatto naturale ma era il prodotto storico di una organizzazione originaria concorde dei compiti.[3]

Con ciò in realtà lo scardinamento  è del tutto superficiale e comunque perlopiù funzionale al sistema. Tre, quattro mila anni di patriarcato e di divisione sessuale del lavoro hanno inciso profondamente nella psiche umana. La condivisione dei compiti da parte dei maschi e la scoperta della loro dolce fruibilità, la lotta per una ‘giusta’ considerazione della donna, ancorché necessaria cioè ciò che chiamiamo emancipazionismo, non ha una sufficiente forza realmente rivoluzionaria ma anzi è tutto sommato compatibile col sistema (salvo rimbrotti e colpi di coda reazionari). Quando si tratta di governare il mondo, in pace e in guerra, di dividersi i territori della cultura e della scienza, di accaparrarsi delle fonti di energia, di occupare i posti chiave e di comando, l‘antica divisione mostra tutta la sua preponderante potenza e alla antica dimensione della ‘cura’ torna ad essere emarginata la donna.

Se le lotte femministe hanno sia pure superficialmente inciso sull’inconscio collettivo, è anche vero che sembra tutto quanto ancora da scoprire un territorio di conflittualità comune a uomini e donne, nel contesto di una crisi profonda del sistema che non nasce col virus e che minaccia di tutto, che sappia mettere in crisi contemporaneamente lo zoccolo millenario del patriarcato e l’abilità del capitalismo a trarne profitto.

 

 


[1] R. Sciortino, I dieci anni che sconvolsero il mondo, Asterios 2019 e Il neopopulismo come problema, in A. Barile, Il secondo tempo del populismo, Momo 2020.

[2] https://www.casadonnemilano.it/nutrire-il-pianeta-o-cambiarlo-unanalisi-femminista/

[3] Ne parlo in: Maschio guerriero, maschio protettore. Note sul femminicidio, su OverLeft, 9 novembre 2016.