La violenza strutturale della società capitalistico-patriarcale Stampa
Aree tematiche - Con Marx e oltre il marxismo
Sabato 17 Novembre 2018 14:03

di Adriana Perrotta Rabissi

La violenza strutturale della società è alla base di tutti gli episodi individuali e collettivi di violenza degli uomini sulle donne

Sono anni, almeno dalla fine del secolo scorso conclusosi sotto l'egida della Conferenza Mondiale di Pechino nel 1995, che si moltiplicano gli inviti alla valorizzazione delle donne oltre che nella sfera del privato familiare anche in quella del pubblico, nel mondo del lavoro e nei settori  della finanza e del management, come risorsa per riequilibrare il progressivo sconvolgimento del sistema neocapitalistico, mettendo a frutto le qualità naturali che oggi definiremmo attitudine alla cura di persone e cose, alla collaborazione e alla mediazione piuttosto che alla lotta, all'empatia verso colleghe e colleghi, al conforto di chi soffre, oltre a una buona dose di senso pratico nel risolvere problemi.

Arriva in soccorso di queste considerazioni la trappola della compassione, la felice definizione che una sociologa statunitense ha dato della funzione patriarcale attribuita alle donne nella divisione sessuale del lavoro, vale a dire il compito di porsi in mezzo agli uomini per moderarne la naturale barbarie, ingentilire i costumi, riparare ambienti, cose e persone ferite fisicamente e psichicamente, mediare nei conflitti nel privato familiare e/o nel pubblico/sociale, grazie alle doti naturali femminili.

Il che serve a mantenere la pace di genere tra uomini e donne all'insegna della complementarità.
D'altra parte millenni di esercizio di competenze e capacità plasmano la psiche umana, trasformando in seconda natura caratteristiche storicamente determinate, per le donne come per gli uomini.
La trappola offre alle donne uno strumento di riconoscimento di insostituibilità nelle reti sociali e familiari, alimentando  in loro il massimo di potenza immaginaria che nasconde il  massimo di insignificanza reale.
Per questo molte donne non intendono rinunciare ai vantaggi che l'immagine salvifica e consolatrice dei mali procura loro nelle vite singole e concrete, dimensione nella quale trovano conforto individuale.
Il sistema capitalistico oggi dominante, nella sua opera incessante di assorbimento e rielaborazione di costumi, tradizioni e culture finalizzata all'incremento del profitto, esalta e/o smorza di volta in volta tratti propri di questa immagine  a seconda dei momenti e dei luoghi nei quali agisce.
In caso di guerra sono spazzati via  ogni riguardo e/o ossequio formale verso il  ruolo salvifico delle donne, esse da un lato sono chiamate a curare persone e ambienti distrutti, e a sopperire nel lavoro alla mancanza temporanea degli uomini, dall'alto sono aggredite come proprietà dei nemici,
E' difficile per molte e molti cogliere la violenza strutturale sottesa all' esaltazione della funzione salvifica delle donne, smascherata puntualmente dalle guerre collettive e individuali condotte dagli uomini, prima di tutto contro le donne che non si omologano alle aspettative di  genere  e poi contro gli altri uomini.
La violenza strutturale della società è alla base di tutti gli episodi individuali e collettivi di violenza degli uomini sulle donne, in parte largamente accettati socialmente come normali, e, nei casi di maggiore gravità,  attribuiti a responsabilità del singolo.
Si tratta di un'ampia scala che va dal sessismo nell'uso della lingua, alle irrisioni delle battute misogini, alle pubblicità sessiste, alle molestie verbali e gestuali, alle offerte di protezione di vario tipo, ai trattamenti discriminanti nel mondo del lavoro, agli insulti, alle percosse, alle aggressioni sessuali, alle mutilazioni, ai femminicidi.

La tendenza a impiegare donne nei ruoli strategici e apicali di aziende, compagnie e istituzioni pubbliche e private produce empowerment individuali, purtroppo spesso a discapito di altre.
Il fenomeno è comunque  positivo, potenzialmente in grado di  migliorare il trattamento riservato alle donne in tutti i settori della vita collettiva e individuale, a patto di non salutarlo enfaticamente come possibilità di rappresentanza delle
istanze di tutte le donne.
Nello stesso modo vanno viste con favore le battaglie per il raggiungimento di  pari opportunità nel lavoro, così come tutte le iniziative volte a alleggerire il carico di impegni  familiari che gravano sulle  nostre spalle.
Tutto questo purché si tenga presente che in questo modo non si scalza il patriarcato, si contribuisce a mantenere saldo il traballante ordine patriarcal-capitalistico, restando confinate nel ruolo modernizzato, e adattato alle trasformazioni culturali e sociali, di riproduttrici.
Indipendentemente dai vantaggi che queste scelte comportano, pur importanti nell'economia di ogni singola vita, occorre resti chiara la consapevolezza che sia le donne che si dedicano al compito di salvare il mondo, secondo la caratteristica dell'oblatività materna, sia quelle che si attivano nella gratificazione erotico-sessuale degli uomini, secondo il dettato della cosiddetta autodeterminazione conquistata, costituiscono due facce della stessa medaglia, nell'ambito della funzione patriarcale assegnata.
Tuttavia non è semplice, né facile, riconoscere le interiorizzazioni di immagini, aspettative, desideri e paure sedimentate nelle coscienze delle donne -e reciprocamente degli uomini-  durante  i tempi lunghi di esercizio patriarcale, agito e subito. Non è semplice, né facile abbandonare nicchie consolidate di potere/contropotere acquisite in pratiche millenarie per avventurarsi in territori sconosciuti. Non ci resta che avere fiducia nella curiosità e nel gusto per l'avventura di noi Sapientes.