Di cosa parliamo quando parliamo di cura Stampa
Aree tematiche - Con Marx e oltre il marxismo
Venerdì 27 Febbraio 2015 17:03

di Adriana Perrotta Rabissi

La 'cura', concetto al quale la riflessione femminista degli ultimi decenni ha dato nuova valenza, può funzionare da elemento fondante di un nuovo paradigma di convivenza, nella prospettiva di eliminazione della divisione sessuale del lavoro su cui si regge il patriarcato, in tutte le sue specifiche forme.

'Care' is a conception which, feminism has been giving a new value sine the last decades. According to these studies, care can be the founding element of a new paradigm of living together between men and women. The perspective is of eleiminating the sexual division of work on which patriarchate, in all of its forms, is based. is based.

Gemäß der 'Fürsorge', der Feminismus hat dieser Worte einen neuen Wert gegeben. Wirkclich, kannt sie als Fundament legen für eine neue Paradigma der Mitarbeit. Die neue Perspektive ist die Entfernung der sexuelle Arbeits Teilung, über die ist Patriarchat gestützt.

I gruppi dirigenti dei paesi occidentali stanno distruggendo, direi senza rendersene troppo conto, le basi stesse della convivenza civile. Si tratta di un processo che finirà per travolgere, alla fine, anche il loro potere. Purtroppo, prima di questo, travolgerà le nostre società, le nostre famiglie, le nostre vite”. (1)

La parola 'cura'. Una storia recente

Nel 1991 fu pubblicato dal Centro di studi storici sul movimento di Liberazione della donna in Italia, che operò a Milano dal 1979 fino al 1994, Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana (2), uno strumento per l'indicizzazione del patrimonio documentario relativo al femminismo degli anni Settanta, raccolto dal Centro e in fase di catalogazione e classificazione.

Fu necessario trovare uno strumento adeguato all’indicizzazione dei libri e dei documenti dell’archivio e della biblioteca perché il sessismo che caratterizzava i linguaggi documentari allora in uso, peraltro ritenuti neutri rispetto ai generi, si erano rivelati nella pratica inutilizzabili per descrivere i contenuti prodotti dalle analisi, dalle pratiche esperite e dalle teorizzazioni femministe. La costruzione del thesaurus fu accompagnata da numerosi incontri, Seminari e Convegni (3) nazionali e internazionali, con documentaliste delle realtà italiane e europee, tutte alle prese con lo stesso problema di messa a punto di strumenti efficaci e efficienti per la rappresentazione semantica dei documenti dei rispettivi archivi e biblioteche.

In Linguaggiodonna abbiamo adoperato il descrittore Lavoro di cura, collocandolo contemporaneamente nei due microthesauri lavoro e riproduzione corredandolo della seguente nota: “Da intendersi in senso lato come lavoro di accudimento a soggetti inabili, anziani e minori sia all’interno che all'esterno della famiglia". Lavoro di cura è recentemente entrato a far parte del Thesaurus del Nuovo Soggettario della Biblioteca Nazionale di Firenze, che indica come fonte del termine proprio Linguaggiodonna. Il descrittore mi sembra riassuma bene quell’esigenza che emergeva dalla nuova coscienza delle donne, quasi mezzo secolo fa, di mettere sotto critica la separazione e contrapposizione di genere tra produzione e riproduzione, alla base della divisione sessuale del lavoro sulla quale si è costruita la nostra civiltà.

Allora sembrava azzardato mettere insieme le attività di lavoro formalmente inteso, svolte prevalentemente da donne e remunerate, anche se poco, vale a dire le attività di servizio alle persone, di cura dei bambini e delle bambine, di assistenza alle inabilità permanenti o transitorie, di mantenimento, riparazione e pulizia di ambienti e oggetti e di preparazione di cibi, con le attività riassunte nell’espressione - riduttiva - di lavoro domestico, che noi sostituimmo con lavoro familiare, descrittore riferito a tutto quanto necessario alla riproduzione e al benessere psicofisico dei soggetti interni alla famiglia, compresa l’affettività, il sostegno psicologico, la mediazione dei conflitti intrafamiliari. Il complesso di attività svolte all’interno della famiglia, infatti, infatti non era considerato lavoro, “mia madre non lavora, è casalinga” rispondevano ragazze e ragazzi a chi chiedeva che facessero i genitori, perché era considerato l’espressione compiuta della femminilità matura, frutto dell’attitudine naturale delle donne a prendersi cura dei propri cari, come segno di amore nei loro riguardi, non certo l’esito di un’educazione e di un addestramento da parte delle istituzioni preposte alla formazione, la famiglia e la scuola prima di tutto.

 

 

Cambiare termine?

Negli ultimi cinquanta anni il mondo del lavoro è cambiato, grazie allo sviluppo tecnologico -automazione di molte fasi del processo produttivo, nuove tecnologie della comunicazione, dell’informazione e del trasporto-. Il capitalismo neoliberale ha finalmente ottenuto la possibilità di adeguare la forza lavoro alle necessità dei mercati in tempo reale, e, favorito dall’ideologia e dalle politiche neoliberiste, ha costruito una società dominata dalle leggi economico-finanziarie, alle quali sottomettere le vite e i corpi di uomini e donne, in ragione della ridislocazione dei modi di produzione, riproduzione e consumo a livello planetario e della ristrutturazione dell’accumulazione di plusvalore. Così mentre si sono mantenute in aree dell’Occidente le fasi meno faticose e dannose dei processi di lavorazione e distribuzione di merci e beni, la globalizzazione ha accentuato lo sfruttamento a danno di popolazioni del resto del mondo, popolazioni gravate da fame, guerre e miserie, generando catastrofiche prospettive di degrado ambientale, di consumo di risorse indispensabili alla vita umana, animale vegetale: acqua, aria, terra, con conseguenze che si risentono necessariamente anche da noi.

In Occidente si è intensificato il lavoro di natura impiegatizia e manageriale, inoltre si è accentuata la competitività tra le imprese per far fronte alla concorrenza crescente in tempi di crisi.

Le competenze relazionali, considerate fino a pochi decenni fa caratteristiche naturali delle donne -l’attenzione alle relazioni e alla comunicazione, l’inclinazione alla cooperazione, piuttosto che alla competizione, in altre parole l’attitudine alla cura- sono ora richieste a tutt* gli/le aspiranti lavoratori/trici , sono tenute in grande considerazione nella valutazione del personale, e spesso costituiscono un titolo di garanzia di assunzione. Proprio in questo consiste la tanto esaltata femminilizzazione del lavoro, che ha significato in realtà l’assunzione dei tratti tipici sperimentati dalle donne nel lavoro domestico per estenderla a tutto il mondo del lavoro.

Anche il mondo della riproduzione, alla base di ogni sistema di produzione, si è modificato, più donne sono entrate nel mondo del lavoro per il mercato, grazie alla possibilità di delegare parte delle loro funzioni di cura alla numerosa mano d’opera di migranti, donne e uomini, a disposizione nelle nostre città, in fuga dalle condizioni insostenibili di vita nei paesi d’origine. Infine la crisi economica, con il suo corredo di involuzioni politiche minacciose –arretramento delle democrazie e avanzata di regimi autocratici- ha contribuito a estendere e intensificare negli ultimi decenni le voci di protesta contro il sistema di produzione, riproduzione e consumo, giudicato ormai insostenibile da gran parte di economist*, politici/che, personalità del modo della religione e della cultura.

Si moltiplicano gli appelli per un effettivo cambiamento di paradigma del modello produttivo e riproduttivo, vale a dire il paradigma neo-liberista di gestione (management) delle “risorse umane”, (4) in modo che siano poste al centro di ogni interesse e di ogni pratica la qualità e la dignità delle persone, piuttosto che il profitto. Il papa arriva a condannare il nostro attuale sistema di sviluppo quale responsabile di ingiustizia sociale (ma lui la chiama iniquità per non apparire troppo di sinistra), ogni giorno si studiano modi per arginare la devastazione sociale, culturale, politica e ambientale incombente sul nostro pianeta.

E’ in questo panorama che la cura assume nuova valenza semantica, si propone come nuovo paradigma della convivenza, il momento è favorevole perché è cambiato il clima culturale, sono maturate le coscienze di molti e molte, grazie alle lotte degli ultimi decenni, e contemporaneamente abbiamo a disposizione una tecnologia avanzatissima che permetterebbe di ridurre il tempo di lavoro per procurarsi il necessario per vivere.

Se analizziamo il concetto di cura mettendolo in relazione ai soggetti concreti che ne dovrebbero essere erogatori e fruitori ci accorgiamo che la possibilità che diventi realmente un nuovo paradigma di convivenza sta nell’ancorarlo alla vita di tutti e tutte, indistintamente, facendo saltare l’impianto originario sul quale si è costruita la nostra civiltà, la divisone sessuale del lavoro, che assegna alle donne la sfera della riproduzione come prioritaria, e agli uomini quella della produzione, avendole entrambe naturalizzate come proprie del femminile e del maschile.Che poi questa naturalizzazione comporti molteplici attività per la sussistenza e gradi differenti di violenze e costrizioni nei confronti delle donne che manifestano resistenze, specie le ragazze giovani, dipende dalle varie culture, sincronicamente e diacronicamente prese in esame, come ci documentano le e gli antropologi. (5)

Un impianto sul quale si sono costruite gerarchie di valori, compiti e funzioni nei confronti delle persone, a seconda del sesso, della classe, delle etnie e delle religioni e si sono messi a punto ordinamenti escludenti, apparati di sfruttamento e di mercificazione, politiche sociali. Senza l’eliminazione della divisione sessuale del lavoro, sulla quale si sono formati il nostro immaginario, prima di tutto erotico, le nostre scale di valori, le nostre fantasie e paure più profonde, le nostre aspettative di vita e di realizzazione, non si avrà una vera trasformazione delle relazioni donne uomini, e di conseguenza tra donne e donne, tra uomini e uomini, e tra l’umanità e il resto del mondo.

Si tratta di un cambiamento profondo e di lunga durata, proprio perché non solo strutturale, ma anche di ordine culturale, la cui radicalità sgomenta, perché mette in discussione tratti soggettivi e identitari di uomini e donne ereditati da millenni.

Ma senza questo cambiamento si rischia l’ennesima modernizzazione dei ruoli, che conferma lo stato delle cose e l’ordine del discorso vigente, come documentano le numerose attestazioni di elogio per il valore aggiunto rappresentato dalle donne nel mondo del lavoro, per la loro potenzialità salvifica del modo, grazie alle attitudini femminili quali il pragmatismo e l’attenzione alle relazioni, senza che siano messe minimamente in discussione né l’organizzazione del lavoro, né l’organizzazione sociale, né la funzione delle donne. Poiché la parola cura evoca proprio l’insieme di attività connotate tradizionalmente al femminile , molt* preferirebbero abbandonarla, io credo che quando se ne presenterà uno più efficace non si farà fatica a sostituirlo, per ora non se ne vedono altri ugualmente incisivi.

I tempi sono maturi, forse...

Quando si parla di cura si finisce per arenarsi di fronte al problema delle cose concrete da fare, a volte si ha l’impressione di fermarsi a semplici petizione di principio, occorre allora cogliere già nelle pratiche attuali di lotta per il cambiamento sperimentate da donne e uomini in varie zone del mondo, nelle iniziative di carattere solidale e innovativo riguardanti la qualità dei consumi, la dignità delle persone e l’organizzazione di modi alternativi di vivere le relazioni, i germi potenziali di questa rivoluzione, mettendone in evidenza gli aspetti che in prospettiva possono condurre all’eliminazione della divisione sessuale del lavoro.

Quattro anni fa riportammo in un articolo della nostra rivista la seguente riflessione:

le lotte contro la devastazione capitalistica della natura, le lotte delle comunità invase e sconvolte da vari tipi di interventi capitalistici, le lotte in difesa del territorio contro le grandi opere, rappresentano in questa fase storica l’esplicitarsi della contraddizione fondamentale del capitalismo e hanno, se condotte con coerenza, una valenza oggettivamente anticapitalistica (qualsiasi sia la coscienza di chi è coinvolto in esse) perché rappresentano un ostacolo all’accumulazione allargata del plusvalore”. (6)

L’espressione sula quale vale secondo me la pena di soffermarsi è “qualunque sia la coscienza di chi è coinvolto in esse”.

Non è facile sostenere questa idea oggi, in un clima di preoccupata ricerca del soggetto politico antagonista per eccellenza, unificante delle lotte e trainante il cambiamento, ma penso che qualunque trasformazione che si proponga come radicale, e non di semplice aggiustamento, aggrega i soggetti di volta in volta, senza che sia possibile prevedere a priori le categorie interessate. Alcuni esempi che si pongono più o meno consapevolmente nella prospettiva di mutamento di paradigma sono le lotte in Canada per bloccare la ricerca di estrazione di gas dal sottosuolo mediante la tecnica del fracking; quelle condotte in Mongolia per fermare l’apertura di nuove miniere alla ricerca di carbone, così come il conflitto per impedire le costruzione di un oleodotto, dal Canada al Texas, lungo 2000 chilometri che attraverserebbe tutto il Nord America, per il trasporto di bitume. Proprio giorni fa Obama ne ha bloccato la costruzione, inoltre la gestione del conflitto ha coordinato e fatto collaborare molti/e attivisti/e di numerosi Stati.

Altri esempi provengono ancora dalle numerose lotte da parte di molte donne impiegate nei lavori di cura, infermiere e collaboratrici domestiche, per ottenere riconoscimenti adeguati del proprio lavoro negli USA, così come quelle contro la privatizzazione dell’acqua in Maine, contro il furto perpetrato da Nestlé, e in Bolivia; o ancora la costituzione di “comedores popoulares ”in America Latina, organizzazioni per fare la spesa in comune, data l’estrema povertà individuale, iniziative che hanno anche indotto un ridimensionamento del prezzo del cibo. (7)

Senza andare poi tanto lontano, abbiamo l’esempio che l'auto-organizzazione dal basso della popolazione in Grecia ha dato vita a reti di ambulatori, farmacie, distribuzioni di cibo, cooperative di lavoro che, oltre a mitigare gli effetti perversi delle politiche di austerità, hanno premiato in sede elettorale il partito che ha sostenuto e incrementato queste reti. Tutt* poi abbiamo presenti le lotte decennali condotte in Asia, contro lo sfruttamento delle terre, le deforestazioni l’appropriazione dei semi, da parte delle multinazionali alimentari.

Tutte iniziative di lotta che non solo contrastano devastazioni e degrado, ma danno anche modo di esperire forme di cooperazione e collaborazione che potranno essere utili proprio in vista del cambiamento di paradigma del nostro sistema di produzione, riproduzione e consumo; è in questo senso che penso possano essere letti non tanto e solo come fenomeni di resistenza ai “processi di distruzione del sociale”, ma come inizi di atti concreti di costruzione di una nuova prospettiva di convivenza.

Note

1 Marino Badiale, Caino for President, Sinistrainrete

2 Adriana Perrotta Rabissi e Beatrice Perucci, Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana, Milano, Centro di studi storici sul movimento di Liberazione della donna in Italia, 1991

3 Ricordiamo tra gli altri il Convegno Internazionale finanziato dalla Commissione Europea svoltosi a Milano nel 1988, i cui Atti sono diventati il libro Perleparole. Le iniziative a favore dell’informazione e della documentazione delle donne europee, a cura di Adriana Perrotta Rabissi e Beatrice Perucci, Roma, Utopia, 1989

4 La definizione della situazione attuale, sintetica ed esaustiva, è quella data da Zappino: Il management è dunque la forma di governo paternalistica (e totalitaria) dei luoghi e delle relazioni di lavoro; ma il management è la forma di governo anche dell’intera società post-taylorista e postfordista, in cui il mondo coincide con il capitale, o in cui l’impresa ha totalizzato il mondo, e in cui dunque non si dà più alcuna distinzione tra luoghi, tempi e relazioni di lavoro e di tempo libero, tra soggetti e soggetti produttivi: ogni competenza o attitudine relazionale, dai saperi tradizionali all’orientamento sessuale, è una risorsa messa costantemente a valore e al lavoro dal capitale. Meccanismo la cui perversione, tra le altre cose, è consistita nell’aver consentito l’inclusione strumentale nei processi produttivi e di messa a valore – ossia: nel mondo – di quei soggetti un tempo esclusi, come ben dimostra il diversity management”, in Federico Zappino, Cosa sono le risorse umane, Alfabeta2, 18 febbraio 2015

5 L’antropologa Paola Tabet nel suo recente libro Le dita tagliate, Ediesse, 2014

6 Quale potenziale di lotta anticapitalistica nella teoria della decrescita? In “Overleft”, 2011

7 Silvia Federici, Donne, Globalizzazione e il Movimento Internazionale delle Donne, www.noglobal.org