Riflessioni sulla crisi Stampa
Editoriali e dibattiti - Dibattito redazionale
Giovedì 02 Febbraio 2012 17:50

Il testo di seguito è stato scritto da Franco Romanò, ma accoglie sollecitazioni e riflessioni dell'intera redazione.

Gli scenari cambiano in continuazione o così sembra: tuttavia, alcune linee di tendenza paiono ormai delinearsi con sufficiente chiarezza, almeno per poter avanzare qualche ipotesi e previsione sensata. Tali linee di tendenza si manifestano prima di tutto sul piano geopolitico, mentre latitano o quasi sul piano della reazione dei popoli, nonostante micro sollevazioni un po' ovunque, ma che non riescono a raggiungere la benedetta massa critica. È per questo che discutere, ma specialmente agire, in un contesto come questo, è particolarmente difficile: da un lato le riflessioni di geopolitica, senza potere influire su di esse, hanno il sapore di dispute accademiche che, per quanto intelligenti, alla lunga generano un senso di frustrazione; d'altro lato, però, è impossibile pensare a qualsiasi forma di resistenza o autodifesa dal basso senza tenerne conto. Allora, per rendere più agile questa riflessione e non ripetere cose dette molto bene da Marco D'Eramo in due successivi interventi sul Manifesto, riflessione che condivido pressoché totalmente, mi limito ad alcune chiose ulteriori sulla situazione della Germania.

D'Eramo individua bene la somiglianza fra Italia e Giappone. Entrambe le nazioni godettero di una rendita di posizione durante la Guerra Fredda, che permetteva loro di 'incassare a due sportelli': l'Italia perché grazie al più forte partito comunista poteva commerciare con l'est europeo in una misura sconosciuta a tutti gli altri paesi occidentali, il Giappone anche perché costretto a ridurre il proprio esercito a strumento di pura difesa. Anche la Germania, costretta dalla sconfitta e dagli accordi con gli alleati, a limitare la potenza del suo esercito, ha potuto investire in altri settori industriali.

Il miracolo tedesco comincia da questo fattore e ciò dovrebbe far riflettere tutti noi sulla necessità di rilanciare fortemente la battaglia per la riduzione degli armamenti. Con la fine della guerra fredda la Germania, quasi esclusivamente per una sorta di forza d'inerzia, ha esteso la sua influenza verso l'est europeo: Polonia, Ungheria, Repubbliche Baltiche, Cechia e Slovacchia, sono entrate naturalmente nell'orbita tedesca, prima che europea, e non poteva essere diversamente anche perché a differenza degli anni '30, oggi esistono le condizioni per una politica di buon vicinato e integrazione delle politiche energetiche con la Russia, cosa che non era possibile con l'Unione Sovietica di Stalin. In sostanza, la politica tedesca, molto più, lo ripeto, per una spinta inerziale che per una scelta programmata, è riuscita a risolvere il problema delle 'province orientali' e dello 'spazio vitale' con mezzi diversi da quelli del Terzo Reich e avendo pure risolto il problema dello sbocco sul Mediterraneo sostituendo all'Italia un'alleanza molto forte con la Turchia, potenza mediterranea sì, ma anche defilata. Tutto questo significa che per la Germania l'Europa meridionale è davvero diventata, da un punto di vista politico e anche psicologico, un altro mondo e al tempo stesso una palla al piede; la contraddizione sta nel fatto, come vedremo, che sul piano economico, le cose sono un po' più complicate.

Il paradosso tedesco è oggi questo: da un lato ci sono tutte le condizioni perché la Germania torni a essere una grande potenza, non solo regionale e D'Eramo lo mette bene in evidenza nel primo dei suoi interventi quando invita tutti a riflettere sulla non partecipazione tedesca alla Guerra di Libia, d'altro canto però, questo non è immediatamente possibile per alcune buone ragioni: la Germania è pur sempre occupata militarmente dagli Usa, in secondo luogo la politica militare tedesca è integrata nella Nato e qualora a qualcuno venisse in mente in Germania di mettere in discussione questo, si scatenerebbero in Europa tali fantasmi che i tedeschi dovrebbero pensarci non una ma mille volte a farlo; infine, il tentativo tedesco di indirizzare in estremo oriente le proprie esportazioni è sostanzialmente fallito e il 60% della esportazioni tedesche rimane ancorato all'euro zona e quindi anche all'area mediterranea. Un'altra questione che preoccupa molto i tedeschi è la forza crescente dei movimenti neonazisti in Ungheria, Polonia, Repubbliche Baltiche, un problema che è ignorato da noi ma che occupa costantemente i tg tedeschi dopo i fatti di Karslruhe (aggressioni alla comunità turca e protezione dei servizi segreti alle forze neonaziste).

Tuttavia il problema di una Germania grande potenza allo stato latente, esiste perché se gli Usa, come sembra ormai evidente, sposteranno il baricentro della loro geopolitica in direzione del Pacifico, potrebbero essere costretti a ridurre il loro impegno politico e militare in Europa.

La questione dell'euro e del destino dell'Europa unita è legata a queste spinte e contro spinte: se l'unità europea verrà rilanciata oppure no, se si arriverà all'euro a due velocità oppure no, dipenderà da queste macro dinamiche, ma il desiderio tedesco di fare da soli è una tendenza strategica anche perché l'unità europea secondo un vero modello federale, una vera costituzione e non un regolamento di condominio, un esercito europeo e una politica estera comune mi sembra ormai pura fantapolitica.

Per questo ritengo ormai largamente superato lo stare ad arrovellarsi troppo se si arriverà o meno all'euro a due velocità o a tre, alle monete nazionali ecc. ecc. Dipenderà dallo scontro-incontro di logiche geopolitiche rispetto alle quali nessuna forza politica oggi organizzata a sinistra può esercitare alcun peso e influenza, prima di tutto perché nessuna si pone questi problemi o se li pone in termini talmente superficiali che fa lo stesso. Le minoranze che questi problemi si pongono e che sono disseminate un po' dappertutto, non costituiscono ancora una forza in grado di porre questi problemi a un livello politico significativo. Credo, però, per concludere con questa parte, che valga la pena di fare qualche ipotesi sulle conseguenze di una scelta oppure dell'altra. In estrema sintesi penso questo:

  1. Le cose vanno avanti più o meno così fra alti e bassi, piccole scaramucce, minacce e allarmi che rientrano, baloon d'essai messi in giro dai servizi, impoverimento sociale crescente, recessione controllata, ma in una situazione geopolitica di stallo. Penso che tale situazione possa durare tutto il 2012 in base a due semplici considerazioni, a meno di un precipitare e avvitarsi della crisi economica: a) non disturbare il manovratore Obama a ridosso delle elezioni (che ci sono pure in Germania e in Francia); b) gli Usa nel 2012 devono rifinanziare una parte colossale del loro debito con nuove emissioni.

  2. La Germania viene stoppata, le si fa inghiottire il rospo del salvataggio della moneta unica e degli stati deboli, si alleggerisce la stretta monetarista, vengono varati gli eurobond, la BCE si comporta maggiormente come una vera Banca centrale e si dipingono le facciate delle istituzioni europee per fare un po' di scena. Questo vorrebbe dire avere una tregua (difficile dire quanto lunga) prima della nuova crisi ancor più devastante, perché si tratterebbe pur sempre di misure di ingegneria finanziaria che ritardano l'esplodere della bomba ma non la disinnescano. Un dato soltanto: secondo i calcoli più prudenti degli economisti degni di questo nome, su ogni euro di profitto reale, cioè derivante da produzione industriale, ci sono otto euro virtuali di prodotto finanziario (secondo altri il rapporto è di uno a dodici) e ogni nuovo rifinanziamento del debito, in mancanza di ripresa dell'economia reale, fa aumentare la panna montata virtuale.

  3. La Germania rompe gli indugi, consolida il suo rapporto preferenziale con la Russia e si arriva all'euro a due velocità. In questo caso si apre la bagarre fra chi sale sul treno tedesco e chi no, ma si apre pure la necessità da parte degli Usa di avere dei contraltari europei alla potenza tedesca: l'Italia diventerebbe di nuovo molto importante per gli Usa. Se girate un po' in rete vedete già formarsi, seppure larvatamente, un partito tedesco o meglio russo-tedesco e uno anglo americano: anche fra le minoranze e alcuni pezzi di movimento! Con buona pace dell'autonomia di pensiero della sinistra!

Penso, per concludere, che le conclusioni del vertice del 31 gennaio scorso, indichi che in questo momento prevale lo scenario numero uno. Non si tratta però di una tregua, ma di uno stallo in attesa di una resa dei conti che non potrà tardare a lungo.

Il problema è come intrecciare i diversi livelli di discorso e questo secondo me (è una riflessione degli ultimissimi giorni), può essere fatto solo se si capisce in quale ambito pensare iniziative che possano risultare incisive. L'intreccio fra locale e globale, infatti, sta cambiando profondamente anche la struttura del potere avversario, i luoghi dove si prendono le decisioni, per esempio, sono diventati più fluttuanti e spesso non istituzionali; al tempo stesso, però, l'iniziativa locale dal basso, tematica e mirata, può mettere in seria difficoltà anche poteri molto forti nel campo, per esempio delle privatizzazioni dei beni che dovrebbero essere indisponibili come valori di scambio, l'aria e l'acqua in primis; ma può aver pure un effetto di diffusione orizzontale molto vasta, come si è visto nel caso di No tav e Dal Molin. La rete dei beni comuni e l'assemblea nazionale di Napoli di fine gennaio sono un pezzo importante e prezioso del movimento.

Il potere decisionale reale è oggi concentrato secondo me a tre livelli, ma voglio subito chiarire che quello che cerco di descrivere non è un super governo del capitale, ma una serie di ambiti dove forze diverse in conflitto fra loro talvolta molto aspro, determinano ricadute non necessariamente volute. Mi spiego con un esempio forse troppo semplice ma che ritengo ugualmente utile. Se in alta montagna qualcuno si mette a fare rumore perché vuole far cadere la valanga su qualcuno, quando la valanga cade travolge tutto. Chi l'ha voluta non voleva distruggere proprio quel villaggio o quella casa.

Il primo di questi ambiti decisionali sono le grandi istituzioni dell'economia e della politica globalizzata, formali e informali: Fondo Monetario, Banca Mondiale, BCE, IOR, Vertici Europei, G8, G20, ONU, Gruppo Bildenberg, Gruppo di Berna, Aspen e altri.

Il secondo ambito, intrecciato al primo (per esempio nel G20), ma anche autonomo, sono le alleanze politiche regionali, formali e informali: Il Mercosur in America Latina, l'Unione europea intesa come pura espressione politica con le sue istituzioni, il cosiddetto BRICS, l'Iran e l'Indonesia che fanno parte per se stessi, la grande mina vagante Israele, le piccole mine vaganti Corea del Nord e Myanmar. I livelli di capacità decisionale in quest'area sono molti differenziati: quelli dell'Unione europea sono pressoché nulli, ma il parlamento europeo e la commissione rimangono a mio avviso tribune importanti.

Il terzo ambito sono gli stati nazionali con le loro istituzioni e che mi sembra di poter dividere in queste grandi schiere:

  1. Dittatoriali dotati di piena sovranità.

  2. Semi dittatoriali dotati di piena sovranità.

  3. Democratici dotati di piena sovranità.

  4. Democratici a sovranità limitata.

  5. Democratici dotati di poca o nulla sovranità.

  6. Stati che costituiscono la cintura del caos, che si trovano o vengono tenuti in una sorta di guerra intestina permanente.

Credo che di tutta questa lista i punti nevralgici per l'Europa sono i punti 4 e 5 e anche il 6, nel senso che la cintura del caos è dislocata sui paesi africani e del Medio Oriente che si affacciano sul Mediterraneo.

La cessione di sovranità, non a una autorità politica ma a una banca, sta creando dei processi di scollamento sociale e rifeudalizzazione in Europa e fa emergere anche paradossali forme di resistenza dello stato nazionale in quanto tale, come sta avvenendo per esempio in Ungheria, dove una estrema destra storicamente legata al nazionalismo come valore in sé, pensa di potersi arroccare in una soluzione nazional-socialista, in opposizione alle regole europee. Per me una delle dinamiche dei prossimi mesi sarà proprio questa, l'Ungheria è solo la punta id un iceberg; in Francia la Le Pen fa una politica spregiudicata contro le banche, il capitalismo e l'Europa: se non ci sarà un'opzione diversa che la contrasti (non ovviamente la pura difesa dell'Europa cui non crede più nessuno), è una tendenza destinata a crescere ovunque, in Italia la Lega Nord fa sostanzialmente la stessa politica.

Le politiche della BCE sono destinate comunque a rifeudalizzare socialmente l'Europa e questo per esempio significa, in una situazione come quella italiana, che a volte i poteri locali e le iniziative autonome dal basso possano avere maggiori margini di autonomia sul territorio, che gli stati controllano sempre meno un po' ovunque perché la riduzione della spesa pubblica implica un minor controllo del territorio. Naturalmente questo crea in Italia un problema in più per la forza della criminalità organizzata.

L'estrema centralizzazione delle decisioni, genera a livello della società civile, una situazione di caos, ma anche di luogo dove si generano spontaneamente nicchie di resistenza più o meno forti. È solo in queste nicchie che, a mio avviso, si possono consolidare in questa fase, reti di resistenza che devono puntare prima di tutto sulla solidarietà attiva, ma che non devono chiudersi in se stesse e tanto meno alle lotte che avvengono a livello di un potere e di una contrattazione possibile che sono ancora nazionali. Tutte le lotte operaie in corso vanno difese, la scarsa solidarietà di cui godono è il segno di un ragionamento inconscio totalmente sbagliato che le considera di retroguardia, come se difendere il proprio posto di lavoro fosse retro. Lo stesso dicasi per l'articolo 18. Le cosiddette nuove forme di lotta, peraltro, sono avvolte in un grande fumo, a parte i pochi casi dove sono state tentate davvero (No Tav, Dal Molin, Stoccarda, occupazione delle ferrovie in Germania contro le scorie nucleari); io vorrei davvero sentire qualche proposta concreta su questi punti, ma non ne vedo.

 

LE PROPOSTE

Come intrecciare proposte, organizzazione dal basso in modo non velleitario. Scelgo questi punti della proposta sbilanciamoci e ne aggiungo altri della rete pink e altri soggetti.

Lotta alla precarietà. Oggi, il 29% dei giovani sono disoccupati e tra chi lavora il 50% ha un rapporto di lavoro precario. Si propone un intervento per limitare la precarietà attraverso: a) la concessione di credito di imposta fino a 3000 euro l’anno per l’assunzione dopo due anni di rapporti di lavoro parasubordinati, b) la previsione di una indennità di disoccupazione del 60% per sei mesi per tutti i lavoratori subordinati che abbiamo almeno maturato un anno di versamenti di contributi.

Riduzione dei programmi arma. Chiediamo al governo italiano di non firmare il contratto per la produzione dei 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter. Chiediamo di cancellare i finanziamenti previsti per il 2012 per la produzione dei 4 sommergibili FREMM, dei cacciabombardieri F35, delle due fregate “Orizzonte”. Risparmio previsto: 783 milioni di euro.

Tassa patrimoniale. In questa crisi i ricchi non stanno pagando alcun prezzo. Anzi lo scudo fiscale e l’allentamento della lotta all’evasione fiscale li hanno ancora di più premiati. Il peso della crisi ricade interamente sulle fasce più povere della popolazione. Proponiamo perciò una tassa patrimoniale del 5 per 1000 sui patrimoni oltre i 500mila euro, con alcune correzioni di carattere progressivo (possibile grazie alla registrazione dei beni sulla dichiarazione dei redditi) sul prelievo. In questo modo potrebbero entrare nelle casse dell’erario una somma intorno ai 10miliardi e 500milioni di euro.

Auditing sul debito. Fondamentale per tenere desta ma in modo intelligente, l'attenzione sulla crisi in senso stretto. Partire dalle grandi città che hanno il problema debito a causa della sottoscrizione di derivati.

Programma di piccole opere. Di fronte ai faraonici programmi di “grandi opere” che producono ingente spesa pubblica, scarsi benefici sociali e danni ambientali per il territorio (e business per poche imprese), si propone invece un programma di “piccole opere” per il Mezzogiorno che riguardi interventi integrati – sociali, ambientali, urbanistici, ambientali – che possono andare dalla sistemazione della rete idrica locale, al recupero urbanistico dei piccoli centri, al risanamento ambientale di coste e aree montane. Si propone a questo scopo di chiedere la piena attuazione del Piano delle opere medio-piccole deciso in CIPE il 6 novembre 2009 che prevede dal 2010 al 2013 che vengano spesi nel triennio 413 milioni di euro degli 825 milioni di euro stanziati dal Comitato, a cui si chiede di aggiungere uno stanziamento di 500 milioni, da finanziare stornando la cifra corrispondente dagli stanziamenti previsti per le infrastrutture strategiche.

Fondo per la non autosufficienza. Oggi il livello delle politiche pubbliche per la non autosufficienza sono a livelli pressoché simbolici. Dal 2011 il Fondo per la non autosufficienza è praticamente azzerato. Chiediamo perciò il ripristino dei 400 milioni di euro (stanziati nel 2010 e cancellati nel 2011) per le politiche a fa­vore delle politiche pubbliche per la non autosufficienza.

Tassare i diritti televisivi per lo sport spettacolo. Come per la pubblicità, il business dello sport-spettacolo ha effetti distorsivi sul mercato e distoglie risorse dallo sport per tutti. Si propone pertanto di adottare il metodo francese di tassazione dei diritti televisivi per finanziare lo sport per tutti e la costruzione di impianti pubblici polivalenti. Con un’aliquota del 5% sul totale dei diritti versati si potrebbero raccogliere circa 40 milioni di euro.

Gestione democratica del potere locale. L'appello lanciato sul manifesto (7/12) dal sindaco di Napoli De Magistris sia ben accolto, adattato e arricchito almeno da quelle giunte - come Milano, Cagliari, Bologna, ecc. - che mostrano di volersi proiettare verso una nuova concezione e pratica di gestione democratica della società locale

Rete pink e questione crescita decrescita. Sviluppo e sostegno a tutte le iniziative di cooperazione dal basso per il consumo solidale a filiera corta ecc. che acquista e distribuisce senza intermediazione, banche del tempo per gestire servizi alla persona in modo non monetizzabile. In questo modo si aggredisce anche il nodo della riproduzione, perché agendo dal basso mette subito in gioco anche il lavoro di cura, la divisione dei pesi fra i generi. che la rete propone e neppure attacca la grande finanza, ma è in grado nel suo farsi di proporre soluzioni e crea aggregazione.

Sostegno concreto a fattivo a tutte le lotte in corso, anche a quelle più difensive, favorendo sempre l'intreccio con le altre, contrastando le tendenze corporative che si annidano sempre da qualche parte.

Il problema di tutte queste e altre proposte va messo in relazione con i diversi ambiti cui facevo riferimento prima. Faccio solo due esempi estremi.

Le ultime due proposte hanno un alto tasso di auto organizzazione che può essere messa in atto da subito e costituire al tempo stesso un ambito di discussione politica e di crescita di consapevolezza: bene, facciamole!

Tutte le prime, invece, non tengono minimamente conto delle questioni di geopolitica e non si capisce a quali interlocutori vengano rivolte. Sono piattaforme di lotta (a quali soggetti si rivolgono?), oppure richieste? Nel secondo caso - a chi - dal momento che nessuna forza politica attualmente in parlamento è favorevole, per esempio, a una vera patrimoniale e a ridurre le spese militari? Sarebbero favorevoli alcune forze che sono fuori dal parlamento, ma a parte lo scetticismo di molti di noi verso queste forze, la loro capacità di incidere è pressoché zero; altre che ci sono, sempre fuori dal parlamento, non hanno ancora una massa critica sufficiente.

La proposta piccole opere, che secondo me ha dentro anche tutto un ragionamento sui beni comuni, è la sola intermedia che potrebbe diventare praticabile laddove esistono amministrazioni sensibili e dove dunque un livello di rapporto costruttivo con le istituzioni è possibile e realistico.

Tutto questo rimanda a mio avviso, sia agli ambiti in cui una proposta diventa fattibile e realistica e non velleitaria, ma anche alla prospettiva politica più ampia in cui collocare ciascuna di queste proposte.